Graziati gli ultimi baby pensionati. I lavoratori con 15 anni di contributi al 1992, infatti, potranno andare in pensione una volta compiuta l’età per quella di vecchiaia. Dopo tante contestazioni, alla fine i “quindicenni” l’hanno spuntata. Prima un comunicato del ministero del Lavoro (che informava del proprio parere favorevole) e dopo la circolare dell’Inps (n. 16/2013) hanno dato il via libera al mantenimento del diritto alla pensione con i vecchi requisiti della riforma Amato. Per lo più donne, si tratta di situazioni relative a lavori e attività discontinui, quali servizi domestici e familiari, lavoratori agricoli, lavoratori dello spettacolo: una tribù di circa 65mila lavoratori.
Per inquadrare la vicenda occorre andare indietro nel tempo, esattamente a 20 anni fa. Epoca in cui già si discuteva di riforme previdenziali, di risparmi di spesa pubblica, di welfare insostenibile. Per cui, con la riforma Amato, fu deciso di elevare il requisito contributivo della pensione di vecchiaia da 15 a 20 anni in misura progressiva nel tempo. Il traguardo è stato raggiunto nell’anno 2001: e dal 1° gennaio di quell’anno, infatti, occorrono 20 anni di contributi per ottenere la pensione di vecchiaia retributiva (all’epoca, nel 1992, non esisteva ancora il regime contributivo che si affaccerà nella vita degli italiani più tardi, nel 1996). Ma furono introdotte pure delle eccezioni, con l’esonero dal nuovo requisito (20 anni) di chi risultasse ammesso a pagare i contributi volontari prima del 31 dicembre 1992 e per i soggetti ai quali, in considerazione della loro peculiare attività lavorativa (domestici, agricoli, pesca, spettacolo, ecc.), venivano riconosciute concrete difficoltà di raggiungere il nuovo requisito ventennale. A loro venne consentito di poter continuare a ottenere la pensione di vecchiaia con il vecchio requisito di 15 anni di contributi.
La deroga è sopravvissuta a tutte le successive riforme: Dini (1995), Maroni (2004), Sacconi (2010) per citare le più rilevanti. Ma non a quella Fornero, per lo meno in base alla prima interpretazione dell’Inps sospinta dal ministero del Lavoro (circolare n. 35/2012). Succede, in particolare, che con la manovra salva-Italia (il dl n. 201/2011) viene equiparato il requisito contributivo di tutte le pensioni di vecchiaia, sia di quelle rientranti nel regime retributivo, sia di quelle appartenenti al nuovo regime contributivo. Il nuovo requisito, unico, è di 20 anni per chi va in pensione a partire dal 1° gennaio 2012.
La penalizzazione sembrava che dovesse colpire soltanto i lavoratori più giovani, cioè quelli appartenenti al regime contributivo, i quali, fino a un anno prima (al 31 dicembre 2011), potevano andare in pensione con soli 5 anni di contributi (requisito che è rimasto oggi valido solo per coloro che vanno in pensione non prima dei 70 anni d’età). E invece no, non è stato così, perché l’Inps, nel dettare istruzioni sulle nuove pensioni, ha ignorato la salvaguardia di chi aveva 15 anni di contributi al 1992 prevista dalla riforma Amato e mai cancellata, presupponendo pure per loro l’allineamento al nuovo requisito di 20 anni. Una lettura un po’ forzata, a dire il vero, perché la riforma Fornero (il dl n. 201/2011) non ha abrogato la relativa disposizione normativa (il dlgs n. 503/1992).
Così è stato fino allo scorso 30 gennaio, quando, dopo alcune interrogazioni parlamentari e incalzato da un’opinione pubblica esasperata, il ministero del Lavoro ha deciso di fare marcia indietro. Con un comunicato stampa, infatti, il ministro Elsa Fornero ha annunciato di aver dato il proprio via libera a una nuova circolare dell’Inps che riporta in pieno vigore le deroghe della riforma Amato. Dopo due giorni, il 1° febbraio, è arrivata pure la circolare dell’Inps (n. 16/2013).
I 65mila fortunati, dunque, devono adesso attendere soltanto di compiere il requisito anagrafico per accedere alla pensione di vecchiaia, cioè spegnere le candeline del compleanno di 62, 63 o 66 anni e dal mese successivo potranno intascare la pensione. Il requisito anagrafico (età), tuttavia, non è sfuggito alle novità della riforma Fornero, in quanto non incluso nella deroga della riforma Amato. Pertanto, a decorrere dal 1° gennaio 2013, gli interessati possono avere la pensione di vecchiaia, con almeno 15 anni di contributi al 1992, compiendo un’età pari a: 62 anni e 3 mesi per le lavoratrici dipendenti; 63 anni e 9 mesi per le lavoratrici autonome; 66 anni e 3 mesi per i lavoratori dipendenti, le lavoratrici dipendenti del settore pubblico, i lavoratori autonomi.
Per la salvaguardia degli ultimi baby pensionati, l’ultimo ostacolo superato è stato quello del parere negativo della Ragioneria dello Stato. Come ricordato, peraltro, nella prima bozza di circolare sulle novità della riforma Fornero, l’anno scorso l’Inps aveva già assunto un orientamento favorevole al mantenimento della deroga della riforma Amato; sono state proprio le ragioni di “cassa” ad aver spinto il ministero del Lavoro a far correggere la circolare, con l’eliminazione della deroga. Quanto sia il costo stimato dalla Ragioneria non si sa.
In base alle stime effettuate da Italia Oggi, l’operazione darà vita a minori risparmi di spesa per circa 8-10 miliardi di euro. Il calcolo è stato effettuato ipotizzando che, trattandosi di soggetti con 15 anni di contributi all’anno 1992, all’epoca avessero un’età tra 30-35 anni, cosicché da maturare l’età per la pensione nei prossimi 10-15 anni. Inoltre, tenendo conto della bassa contribuzione (15 anni), si è considerato una pensione pari al trattamento minimo (oggi pari a 495 euro mensili), con una crescita negli anni del 2% (quest’anno è stata del 3%).
La vicenda finisce per allungare la lista dei salvaguardati dalle ultime riforme delle pensioni: dopo gli esodati e i ricongiungimenti onerosi, di cui scrivevo in un precedente articolo, adesso si sono aggiunti i babypensionati. Poco per volta, come scrivevo, in tanti sono stati preservati dalle nuove e più stringenti riforme delle pensioni. In tanti, con un’unica e sola eccezione: i più giovani. Nella puntata precedente eravamo rimasti a 11 miliardi di euro di risparmi cancellati e rimessi a carico dei più giovani; il dato adesso va aggiornato, anzi raddoppiato. Intanto, nulla da temere: a pagare resterà sempre e solo Paolo.