Riceviamo e pubblichiamo questa lettera dal Comitato “I Quindicenni”, che tiene a riportare alcune importanti puntualizzazioni circa due articoli pubblicati su queste pagine
Il Comitato “I Quindicenni” constata con fortissimo disappunto la pubblicazione sulla Vostra testata di due articoli riportanti informazioni del tutto errate sulla questione dei “quindicenni”. L’articolo che maggiormente sconcerta per le dichiarazioni espresse è quello del 6 febbraio 2013 a firma del signor Daniele Cirioli, che pubblicamente fa prova di un sarcasmo al dir poco offensivo e di una scarsa conoscenza della problematica, mostrando una grave carenza di professionalità.
In maniera categorica il Comitato “I Quindicenni” afferma che tale categoria non rappresenta affatto “gli ultimi baby pensionati”. Il termine “baby” (neonato; bambino) poteva forse essere applicato a persone che andavano in pensione molti anni or sono all’età di circa 40 anni, ma lo si ritiene del tutto fuorviante e incorretto invece per soggetti la cui età supera decisamente la soglia dei 60 anni, come si avrà modo di evidenziare successivamente!
Il titolo dell’articolo “I quindicenni sono salvi… sulle spalle di Paolo” viene ritenuto profondamente offensivo e si esigono delle scuse! Il diritto alla pensione minima dei “quindicenni” non ricade né sulle spalle di Paolo, né di qualsivoglia altra persona, in quanto l’importo del loro assegno pensionistico è commisurato direttamente ed esclusivamente su quanto dai quindicenni stessi direttamente versato. L’assegno previsto per i “quindicenni” ammonta a una cifra addirittura inferiore a quella della pensione sociale. L’importo prevalente della pensione minima di vecchiaia è di circa 200-300 euro e l’integrazione al minimo, ossia la differenza aggiunta per raggiungere la somma di circa 490 euro, è il solo costo a carico dell’Inps: tuttavia tale integrazione avviene solo nel caso in cui il reddito insieme al coniuge non superi una certa soglia.
I “quindicenni” essenzialmente fanno capo a due tipologie: i “quindicenni” aventi raggiunto con il lavoro la soglia minima contributiva richiesta, pertanto “Paolo” si chiama nel loro caso invece “azienda, ditta, società, ecc.”, e i “quindicenni” che tale soglia l’hanno raggiunta invece con anche versamenti volontari, e per loro “Paolo” si chiama invece “tutti i propri risparmi familiari”. Sono le aziende e le famiglie stesse dei “quindicenni” a essere “Paolo”! La decisione dei “quindicenni” di lasciare il loro lavoro è stata obbligata nella maggioranza dei casi proprio per occuparsi di “Paolo”, visto che lo Stato di “Paolo” non voleva occuparsene!
I “quindicenni” non sono stati né salvaguardati, né graziati. L’intervento fatto nei loro confronti con la circolare dell’Inps n. 16 del 01/02/2013 consta unicamente in un atto amministrativo con cui si corregge un errore fatto dal Governo. Tale circolare sancisce solamente il ripristino del diritto alla pensione di vecchiaia con una soglia contributiva minima pari a 15 anni. Nel decreto Salva-Italia, poi legge 214/211, i commi 6) e 7) dell’art.24 non fanno alcun cenno a un’abrogazione delle deroghe del 1992 alla legge Amato n.503, in seguito però il Governo ha deciso di perpetrare tale abuso addirittura servendosi di uno strumento amministrativo, quale quello di una circolare dell’Inps, nello specifico la n.35, per abrogare una legge speciale, contravvenendo in tal modo alla procedura stabilita in base alla gerarchia delle fonti. La circolare n.35 dell’Inps nella versione definitiva non fu un atto improvviso dell’Inps, bensì riportava il dettame esclusivo del Ministero del Lavoro e del Ministero delle Finanze, ovvero i due dicasteri competenti a stabilire e determinare l’azione dell’Inps, e all’epoca guidati rispettivamente dalla signora Fornero e dal signor Monti, il quale ne aveva l’interim.
La stima di minor risparmi pari a circa 8-10 miliardi di euro a seguito della riaffermazione del diritto alla pensione di vecchiaia dei “quindicenni” non ha nessun motivo d’essere, in quanto questi potenziali risparmi non avrebbero mai dovuto essere stati messi in conto non avendo stabilito per legge l’abrogazione delle deroghe.
Le deroghe che hanno creato la categoria dei “quindicenni” si sono limitate solo a cristallizzare il requisito contributivo ma mai quello anagrafico. La conseguenza è che la categoria finora ha già subito molteplici innalzamenti dell’età pensionabile, da 55 a 57, a 60, a 61 e oggi il salto è particolarmente violento creando una fortissima penalizzazione di genere, in quanto anche per la categoria sono applicati i nuovi criteri anagrafici previsti dalla riforma. In termini concreti e non astratti, come invece indicati dal signor Cirioli, le donne-quindicenni più “ fortunate”, quelle nate fino a marzo del 1952, potranno percepire la loro pensione non prima dei 63 anni e 9 mesi, mentre per tutte le altre l’attesa dovrà prolungarsi fino ai 66 anni. Questo perché la riforma non prevede alcuna fase di transizione, e quindi concede le vecchie regole soltanto per coloro che maturarono sia il requisito contributivo che quello anagrafico entro il 31/12/2011 (comma 3 dell’art. 24 del decreto Salva-Italia), pertanto a partire dall’annata del 1952, oramai alla soglia della pensione, invece avviene il salto brutale.
Certo, si vive in un’epoca in cui facilmente tutto viene sottoposto a “interpretazione”, ma affermare che uomini di 66 anni e 3 mesi o donne di almeno 64 anni siano dei baby pensionati si ritiene essere una vergognosa falsità!
Si conclude tale lettera di rimostranza volendo precisare inoltre che quanto affermato dal signor Nedo Lorenzo Poli in un’intervista apparsa il 01/02/2013 – «In sostanza, 65.000 cittadini cui spetteranno i cosiddetti “contributi silenti”, versati per almeno 15 anni, rischiavano di non ottenere l’assegno previdenziale al raggiungimento dei 65 anni d’età, come aveva finora previsto al legge per categorie particolari» – non corrisponde al vero, in quanto i contributi versati dai “quindicenni” non sono mai stati silenti perché corrispondevano alla soglia minima richiesta e stabilita per legge. I contributi silenti sono solo quelli che non fruttano, non producono una pensione perché non raggiungono la soglia minima prevista dalle norme. E di certo questo non è il caso dei quindicenni!
Il Comitato “I Quindicenni” si augura che tale replica venga pubblicata e che in futuro ci sia un controllo più accurato delle informazioni divulgate.
Cordiali saluti,
Evelina Rossetto – Coordinatrice Comitato “ I Quindicenni”.