Come tutti gli istituti con i quali arrivano direttamente soldi nelle tasche dei cittadini, comprensibilmente, gli strumenti di integrazione o sostegno al reddito attirano facilmente grandi consensi. I pro sono più d’uno: oltre al più evidente effetto di garantire una minima disponibilità economica a chi si trova nel bisogno e dunque provvedere individualmente per loro, essi contribuiscono a una più generale pace sociale di una data comunità.



Il reddito di cittadinanza, che è oggi tanto chiacchierato, si annovera tra questi, ma è bene definirne meglio i tratti. Di esso si parla, ad esempio, nella proposta del Movimento 5 Stelle, indicandolo come uno strumento tale da essere erogato indistintamente per tutti i cittadini. E questo viene poi sostenuto a gran voce e invocato quale strumento di civiltà perché previsto nella stragrande maggioranza dei paesi europei.



A parte considerare quantomeno un po’ paradossale la posizione di un movimento che contrasta l’integrazione europea al punto tale da favorire un referendum circa la partecipazione italiana all’Unione, ma poi usa l’Europa come dispenser di strumenti civili da importare, ciò che va chiarito è che nessuno istituto costituisce un bene o un male di per sé; è però innegabile che esprime un certo tipo di scelta politica e non un altro.

Nel caso del reddito di cittadinanza, la scelta di fondo è evidentemente assistenzialistica: esprime certamente una forma di inclusione sociale e lo fa per definizione, una sorta di “sei politico”, che viene dato a tutti in condizioni di parità per il solo fatto di esistere. Se si è d’accordo con tale impostazione, nulla quaestio. Qualora invece – come chi scrive – si pensi che forse queste “condizioni di parità” sono elemento difficilmente reali, soprattutto nel nostro Paese, ecco che ci si trova a dissentire da un simile progetto e a preferire istituti condizionati a situazioni più circoscritte.



E comunque più circoscritte sono le diverse opzioni presenti in Europa, in primo luogo perché si prevedono forme di reddito minimo garantito e non di cittadinanza; la differenza principale tra i due sta nel fatto che nel primo caso manca un automatismo: l’erogazione del sussidio resta legata a dati requisiti di reddito o più in generale patrimoniali.

La cosa bella è che in tutto questo dibattito elettorale e post elettorale, si è addirittura arrivati ad affermare che probabilmente lo stesso Grillo, parlando di reddito di cittadinanza, volesse riferirsi in realtà a una forma di reddito minimo garantito, per un ammontare di 1.000 euro mensili, appunto analogo o assimilabile, ad esempio, al “minimex” belga o al tedesco Hartz IV. Ammettiamo pure che i 5 Stelle vogliano un reddito minimo garantito italiano; come dicevo, tutto si può fare, ma bisogna avere ben chiaro dove si va a finire.

Nella pratica, sappiamo tutti che in Italia abbiamo disoccupati e disoccupati; nonostante la crisi, c’è sia la persona che perde il lavoro perché la sua fabbrica chiude e si trova drammaticamente per strada e sia la persona che è a spasso e usa la crisi come giustificazione. Ancora: qualcuno dovrebbe spiegarmi per quale ragione, se senza un lavoro lo Stato mi passa 1.000 euro, io studente, io operaio, io impiegato o chicchessia dovrei sbattermi per un lavoro che – specie all’inizio e specie in questo tempo di crisi – potrebbe nemmeno arrivare a retribuirmi quel tot?! La filosofia del reddito minimo garantito non mi piace non perché interviene positivamente in situazioni di bisogno -sarebbe impensabile – ma perché intrinsecamente induce a rimanere in uno stato di bisogno piuttosto che a volerne uscire con tutte le proprie forze.

Se guardiamo all’esistente, oggi in Italia si risponde alla stessa ratio che anima la proposta grillina con una serie di strumenti diversi, i quali possono essere comodamente esaminati leggendo il sito dell’Inps, a cui rimando, per avere un autorevole, utile e ufficiale spiegazione in merito. Quello che mi preme sottolineare, più che le caratteristiche specifiche delle singole misure, è piuttosto la generale limitazione di ognuna di esse a una data categoria di cittadini; rispetto a questo, un sussidio generalizzato può a mio avviso colmare quel suo ontologico gap di responsabilizzazione dell’individuo solo se erogato in periodi in cui l’economia è prospera e se esiste un efficace meccanismo di controllo del sistema. Condizioni che entrambe non mi sembrano dipingere in modo veritiero il panorama dell’Italia di oggi.

 

In collaborazione con www.amicimarcobiagi.com