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In un Paese come il nostro, con gravi problemi di crescita e un mercato del lavoro che ancora non funziona in modo adeguato, diventano sempre più fondamentali il decentramento della contrattazione a livello locale o aziendale e lo sviluppo della capacità di sindacati e imprese di raggiungere accordi efficaci per tutti. Si tratta, a nostro avviso, di fattori davvero irrinunciabili per provare a far ripartire l’economia delle imprese e migliorare le condizioni di occupazione delle persone.



Al fine di recuperare produttività e di contribuire all’innovazione, infatti, occorre anzitutto responsabilizzare gli attori in gioco, come accade ad esempio in Germania, dove il forte dialogo tra le Parti, facilitato dalla contrattazione decentrata, è fattore essenziale sia della competitività del Sistema che del maggior benessere dei lavoratori, così positivamente raggiunti in questi anni. Da questo punto di vista, l’art. 8 del Dl13/8/2011 costituisce un’opportunità decisiva anche per lo stesso legislatore, che viene messo in condizione di poter valutare le sperimentazioni eseguibili con la contrattazione di secondo livello ed, eventualmente, modificare le norme sulla base di valide e già testate esperienze.



Questo articolo, forse proprio perché se ne è colta la preziosa valenza sperimentale, non è stato modificato neppure dalla Riforma Fornero: le Parti possono perciò, auspicabilmente, considerare con molta attenzione la possibilità di utilizzarlo sempre di più. Nonostante gli ambiti nei quali applicare questo modello di prossimità e di reale sussidiarietà siano numerosi, raramente, però, sindacati e aziende approfittano di questa importante opportunità, rinunciando in tal modo a una positiva evoluzione, nei fatti, del funzionamento del mercato del lavoro, in una direzione certo più vicina alle necessità delle imprese e agli interessi dei lavoratori operanti in specifici territori e nelle singole aziende.



Con l’art. 8 sarebbe ad esempio possibile per le aziende affrontare direttamente con le rappresentanze sindacali aziendali numerose materie, tra cui quelle – spesso decisive per lo sviluppo occupazionale – relative ai contratti a termine e, soprattutto, ai casi di ricorso alla  somministrazione di lavoro; leva, questa, che si rivela sempre più fondamentale, soprattutto in un periodo di crisi come l’attuale, per fornire alle imprese tutta la flessibilità di cui necessitano e, contemporaneamente, garantire alle persone la piena sicurezza dei diritti lavorativi.

Il contratto a tempo determinato direttamente stipulato tra imprese e lavoratori, come è noto, offre meno tutele alla persona rispetto alla somministrazione. Ma i sindacati, che pure si dicono d’accordo sul contenuto di questa affermazione – e la cui funzione è proprio quella di supportare i lavoratori nella maggior continuità e sicurezza professionale possibili – paradossalmente avversano l’utilizzo dei contratti di somministrazione, per ragioni sostanzialmente ideologiche e di potere interno.

Per meglio comprendere la ragione per cui questo accade, dobbiamo considerare che la rappresentanza sindacale dei lavoratori somministrati è gestita da organizzazioni specifiche. Di per sé questo è certamente un bene, ma il fatto che esse siano alternative alle organizzazioni di categoria fa sì che, a livello di governance, queste ultime non prendano quasi mai in considerazione lo sviluppo lavorativo dei somministrati che operano nelle loro categorie professionali, proprio perché tendono a percepirli come appartenenti a un sindacato concorrente.  Questa è la ragione per cui, ahimè, tutto ciò che riguarda la somministrazione deve sempre, necessariamente, essere deciso per legge; in caso contrario, il trattarlo, successivamente, a livello di contrattazione aziendale, diventa estremamente difficile.

Per superare questo impasse torniamo allora a riproporre quanto suggerito già nell’autunno dello scorso anno, quando abbiamo invitato le forze sindacali a considerare una revisione di funzionamento in grado di portare, ad esempio, alla realizzazione di un’organizzazione a matrice, grazie alla quale i lavoratori somministrati da un lato facciano parte della specifica categoria della somministrazione, dall’altra appartengano, come tutti i lavoratori, ai sindacati di categoria in ragione del contenuto della loro missione.

La domanda, in questo clima di incertezza e confusione politica, sorge spontanea: il prossimo Governo sarà in grado di interessarsi a questa tematica di assoluto rilievo per migliaia di lavoratori e di condurre le forze sindacali a prendere in seria considerazione questa, importante, revisione strategica delle relazioni industriali?

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