A prima vista sembra un’importante vittoria. Il 4 marzo, la proprietà giapponese della Bridgestone, azienda produttrice di pneumatici, aveva annunciando la chiusura irrevocabile dello stabilimento di Bari. Su richiesta delle istituzioni coinvolte, invece, ha fatto un passo indietro. La chiusura non è più irrevocabile ed è stato aperto un tavolo permanente per risolvere i problemi che coinvolgerà le parti sociali. Abbiamo chiesto ad Angelo Colombini, segretario nazionale della Femca-Cisl di fare il punto sulla situazione.



Perché, anzitutto, è stata annullata l’irrevocabilità?

Nichi Vendola e il governo regionale pugliese avevano annunciato il boicottaggio dei prodotti Bridgestone. Un gesto irresponsabile, specialmente nei confronti dei lavoratori dello stabilimento. Aziende come la Fiat, infatti, possono tranquillamente reperire i propri pneumatici altrove. In ogni caso, quando si è deciso di rinunciare al boicottaggio, l’azienda ha deciso di rinunciare all’irrevocabilità.



Siete soddisfatti?

Non direi. La situazione è tutt’altro che rientrata. Si è posta grande enfasi sull’incontro con il ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera, il governatore Nichi Vendola e il sindaco di Bari, Michele Emiliano, in seguito al quale l’azienda ha fatto un passo indietro rispetto all’irrevocabilità. Ma l’ipotesi della chiusura resta in piedi. E’ decisamente un po’ poco per giustificare il tripudio riservato al governo e al governatore pugliese.

Quindi?

A oggi, nulla impedisce che entro il 2014 l’azienda chiuda. Il board europeo, infatti,  ha confermato la motivazioni per cui non conviene più produrre in Italia.  



Quali sono queste motivazioni?

Anzitutto, il costo dell’energia. Rispetto agli altri stabilimenti del gruppo, o rispetto ai competitor internazionali, a Bari – come del resto in tutta Italia – l’energia costa circa il 30% in più. Non abbiamo, infatti,  il nucleare, né rigassificatori, mentre siamo penalizzati da carenze infrastrutturali decennali. Tutte le nostre aziende, da questo punto di vista, partono svantaggiate. Inoltre, buona parte dei prodotti dell’azienda sono esportati all’estero, specialmente nel mercato centroeuropeo. A 2mila chilometri di distanza, quindi. Il che comporta costi di trasporto estremamente elevati. Costi che potrebbe risparmiare spostando la produzione in Polonia, dove ha già uno stabilimento. A quel punto, le distanze da percorrere si ridurrebbero a 200 chilometri.

Pare, tuttavia, che l’azienda, a Bari abbia sempre fatto ottimi profitti…

Indubbiamente. Tuttavia, sconta un’evidente sovracapacità produttiva causata dalla crisi che ha fernato l’acquisto delle automobili e, di conseguenza, la produzione di pneumatici. Anche le aziende concorrenti come la Michelin hanno lo stesso problema e stanno affrontando processi di riorganizzazione aziendale. 

 

Questi problemi sono stati affrontati dal governo e dalla Regione?

 

Assolutamente no. Quando il sottoscritto ha posto alle istituzioni – a Vendola e al governo – tali questioni, facendo presente che l’Italia deve fornire una soluzione alle aziende in termini di prospettiva di sistema e, in particolare, rispetto al costo dell’energia e dei trasporti, la risposta è stata tutt’altro che soddisfacente. Si sono limitati a dire che attenderanno che la società esponga la propria posizione nel prossimo incontro del 5 aprile.

 

Cosa prevede?

 

Se il governo non fornirà risposte adeguate, credo che nell’arco di 4 o 5 mesi si arriverà a uno stallo. Quantomeno, rispetto alla situazione di adesso, potrebbe non essere cambiato nulla.

 

A questo punto, come se ne esce?

 

Partendo, anzitutto, dal riconoscere la disponibilità dei lavoratori. Tengono al loro posto di lavoro, ma sono anche in grado di rilanciare la produttività. Lo Stato, la Regione devono concretizzare la loro euforia in proposte concrete di aiuto all’azienda. Devono, cioè, porre delle garanzie rispetto all’abbassamento dei costi di energia e logistica. I Comuni, dal canto loro, dovrebbero abbassare l’imposta sugli immobili. Anche le aziende, infatti, pagano l’Imu e alcune amministrazioni hanno ritenuto fosse meglio ridurla, piuttosto che rischiare la chiusura degli stabilimenti e, di conseguenza, le varie addizionali versate dai lavoratori.

 

Dicono che l’azienda abbia dei problemi con l’amianto. E che la proprietà sia intenzionata a far le valigie per non avere grane giudiziarie con il nostro Paese.

 

Credo che si tratti, semplicemente, di una ricostruzione giornalistica. Non mi risulta che nello stabilimento di Bari esistano problemi di questo genere. 

 

(Paolo Nessi)