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Da quindici anni la legislazione del lavoro è continuamente sottoposta a modifiche – frutto, spesso, di dannosi compromessi – con il solo esito di renderla, così, generatrice di enorme conflittualità, di numerosi contenziosi e, ahimè, decisamente poco attraente per gli investitori. Norme scritte e riscritte, spesso senza nemmeno giungere alla fase di implementazione, hanno, in tal modo, inondato il nostro Sistema, conducendoci, oggi, a una legislazione sul rapporto di lavoro talmente voluminosa, caotica e disorganica, da essere difficilmente comprensibile persino per gli esperti, tanto da paralizzare o rallentare significativamente le attività di tutti gli operatori implicati.



Ad aggravare la situazione di chi è chiamato a legiferare, d’altro canto, la mancanza di dati certi per un’adeguata conoscenza del mercato del lavoro, capaci, cioè, di produrre informazioni per tutti e di aiutarci in tal modo a leggere la realtà al di là dei punti di vista. Mettere mano in continuazione alle norme produce, dunque, più effetti negativi che positivi, contribuendo purtroppo a un vertiginoso calo di fiducia nei confronti sia delle istituzioni che della capacità del mercato del lavoro di rispondere adeguatamente alle esigenze di persone ed imprese.



Tutte queste stratificazioni necessitano, quasi paradossalmente, di un ultimo intervento, finalizzato, però, a una semplificazione definitiva. Si potrebbe così cogliere l’opportunità di portare a compimento la Riforma Fornero che, pur avendo intrapreso la giusta direzione, è rimasta incompiuta in varie parti; svolto questo intervento sarà finalmente forse possibile mantenere a lungo una certa stabilità. Occorre, dunque, abrogare e riorganizzare centinaia di norme, rendendo così le nostre leggi pienamente comprensibili e finalmente allineate agli standard dei Paesi più avanzati. Una volta svolto questo intervento semplificatorio, è però necessario che esse vengano applicate e, dunque, giudicate alla luce degli effetti che sapranno produrre sull’economia e sui rapporti tra persone e aziende di questo Paese.



Misurare gli effetti di quanto si pone in essere è infatti fondamentale proprio per poter decidere, con maggiore certezza e trasparenza, le eventuali modifiche da apportare alle iniziative prese, per il bene di tutti gli attori in gioco. Anche per questa ragione Gi Group Academy, fondazione dedicata a supportare l’evoluzione della cultura e del mercato del lavoro, con il contributo di un qualificato comitato scientifico ha creato un Osservatorio Permanente sugli effetti della Riforma Fornero, i cui primi esiti sono già disponibili. Mai come oggi, in assenza di soluzioni già dimostratesi vincenti, risulta infatti così fondamentale guardare i dati, rilevare i problemi, porsi le domande giuste e provare ad identificare soluzioni adeguate, sostenibili e il più possibile condivise.

Per limitarci, in questa sede, al principale risultato che viene riconosciuto alla Riforma dall’indagine svolta, possiamo dire che esso consiste, certamente, nella riconosciuta riduzione delle forme improprie di flessibilità: cocopro e partite Iva in primis. D’altro canto, però, alla limitazione degli utilizzi inadeguati di certi strumenti non è, ahimè, conseguita la chiara indicazione di positivi elementi perseguibili in alternativa.

Un esempio su tutti è la somministrazione: la Riforma non la nomina e la lascia pressoché inalterata, quando invece sarebbe stato necessario – soprattutto in un momento come quello che stiamo attraversando – affrancarla da alcuni vincoli ed incentivarne l’uso. È quanto mai prezioso, oggi, avere il coraggio di togliere del tutto l’obbligo di indicare la causale d’utilizzo; elemento, questo, che introduce un’inutile criticità per le aziende, senza aggiungere alcuna tutela per i lavoratori. Occorre piuttosto, come si diceva – appunto – a proposito delle leggi sul lavoro, semplificare al massimo e rendere più fruibile tutto ciò che è in grado di concorrere alla liberazione di energie costruttive, garantendo più flessibilità al sistema produttivo e, contemporaneamente, sicurezza e impiegabilità maggiori alle persone. In questo modo le Agenzie per il lavoro potranno concorrere, di più e meglio, allo sviluppo economico e sociale del Paese, sia nell’inserire più agevolmente i giovani nel mondo del lavoro, sia nel ricollocare le persone che un lavoro lo hanno, invece, perso.

Non si tratta dunque, a nostro avviso, di dover giungere a gestire un mercato del lavoro complesso come il nostro con un unico strumento monolitico, tagliando pericolosamente “fette di realtà”, come se non esistessero; non dobbiamo, infatti, esporci all’errore di togliere complessità laddove le dinamiche di utilizzo delle forze-lavoro risultano fortemente articolate: occorre, piuttosto, eliminare le complicazioni inutili e puntare solo su quegli strumenti che si rivelano, alla prova dei fatti, davvero necessari, così da poterne sfruttare appieno le potenzialità, grazie ad indicazioni chiaramente e semplicemente regolamentate.

Questo il compito che, davvero, ci auguriamo vogliano e siano in grado di darsi coloro che si occuperanno del lavoro nell’imminente avvio di legislatura.

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