Imu, coalizioni e politiche economiche. Espansive per chi crede che si possa uscire dalla crisi con più debito, restrittive, per chi preferisce la strada del rigore. E ancora, articolo 18 e diritto al lavoro. Questi i temi caldi del dibattito sui media, mentre si cerca di costituire un Governo che possa guidare l’Italia fuori dalla crisi. Dal mio osservatorio sul campo non oso giudicare quali misure preferire, ma una cosa so per certo: nessuna delle questioni descritte può aggredire i reali problemi che impediscono al Paese di essere più giusto, efficiente e di tornare a crescere. Sono moltissime le aziende che non funzionano principalmente a partire dalla loro classe dirigente, da come viene retribuita e trattata. Poi ci sono tutti quei professionisti e lavoratori pieni di energia e voglia di fare, le cui competenze sono continuamente svilite a favore di chi vanta discutibili diritti e protezioni legal/burocratiche. Resta l’impressione di un sistema economico statico, in cui hanno troppo peso i requisiti formali, le referenze accumulate, i diritti acquisiti; meno il saper fare, l’entusiasmo, la capacità di raggiungere gli obiettivi, l’equità. E’ sufficiente misurare il numero dei dirigenti o dei quadri per il numero dei dipendenti totali in alcune aziende o notare la differenza di retribuzione tra manager pubblici e privati in Italia rispetto agli altri Paesi avanzati, così come la mancanza di turnover dentro le aziende. Ciò che emerge chiaramente è che, in molte occasioni nel nostro Paese, la capacità e i risultati contano troppo poco. Pesano molto di più le leggi, gli accordi sindacali e le tutele che privilegiano una “casta” meno visibile, ma molto più numerosa di quella che occupa gli scranni di Montecitorio o di molte istituzioni.



Viene spontaneo chiedersi se i privilegi scandalosi degli ultimi anni non poggino in ultima analisi sulla collusione e sul tacito consenso di quanti – in questo sistema fatto di scatti automatici di carriera, regole autoreferenziali, accordi collettivi e mobilità interminabili – si sono visti garantire carriere, paracadute e lauti stipendi, senza mai incrociarsi con il giudizio dei cittadini e di sistemi concreti di valutazione. Probabilmente hanno preferito trincerarsi dietro normative e comode abitudini, che se da un lato hanno spezzato il loro entusiasmo e la voglia di fare, dall’altro li hanno indotti ad “avvitarsi” in regolamenti interni e situazioni di compromesso ben lontani dalla risoluzione dei problemi e dalla creazione di nuovo valore. Non so quanto sia percepito fino in fondo come l’accumulo insensato di privilegi in aziende pubbliche e private per motivi clientelari, di solidarietà e di abitudine abbia ucciso! Un esercito di generali senza truppe, senza senso e senza futuro. Mi chiedo quando queste persone si renderanno conto che non possono continuare a mettere il loro personale interesse di fronte a quello della collettività. 



Un mercato del lavoro giusto – e di conseguenza un Paese sano – non dovrebbe consentire a certi dirigenti di restare inamovibili e non dovrebbero permettere carriere “burocratizzate” e situazioni di iperprotezione. Per chi ogni giorno si confronta con il mercato globale e per le aziende che crescono all’estero questo fardello sta diventando insostenibile. Deve essere alleggerito non con tagli lineari, ma con misure “intelligentemente radicali”, che intervengano anche retroattivamente dove si accertano squilibri e paradossi. Esistono modalità che misurano produttività ed efficienza, sistemi che misurano il carico di lavoro necessario per un’attività e una miriade di parametri di confronto con realtà efficienti a livello nazionale ed internazionale. Basterebbe solo volerlo, senza conflitti e senza lotte di conservazione. Non si può più tollerare la protezione inutile e, anzi, dannosa di vecchie caste a scapito di giovani e donne: energie che costerebbero molto meno e renderebbero il Paese migliore, ma che hanno il solo torto di essere arrivati tardi quando i posti migliori erano già stati assegnati. Di questo vorrei sentire parlare e discutere sui media. Meno compromessi, accordi e privilegi. Più dibattiti seri, concreti e consapevoli per il bene dell’Italia. 

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