Gli italiani hanno sofferto più di tutti la crisi economico-finanziaria degli ultimi anni, con un impatto sulle famiglie che si è rivelato più pesante di quello registrato in Bulgaria, Cipro, Irlanda e Spagna. Lo dice l’ultimo rapporto trimestrale della Commissione Ue sull’occupazione che registra naturalmente un calo della produttività nell’intera Europa, in seguito alla crescita debole o negativa. Ed è l’Italia a far registrare il calo più accentuato: -2,8% nell’ultimo trimestre 2012, dopo il calo ancora più forte del 3% del precedente trimestre. Dall’Ocse altri dati negativi: produttività in calo, nuovo record della pressione fiscale. Per quanto riguarda il Pil dell’Italia, sceso del 3,7% annuo nell’ultimo trimestre 2012, continuerà a contrarsi sia nel primo che nel secondo trimestre del 2013, unico tra i Paesi del G7. Il Pil italiano calerà dell’1,6% annuo nei primi tre mesi di quest’anno, e dell’1% nei tre mesi successivi.



All’interno dell’eurozona, c’è una rinnovata divergenza tra la crescita in Germania, che probabilmente ripartirà con forza nei primi due trimestri del 2013, e quella degli altri paesi, che resterà lenta o negativa. Il Pil di Berlino, stima l’organizzazione, farà segnare un +2,3% nel primo trimestre e un +2,6% nel secondo, mentre quello della Francia, altro Paese euro nel G7 insieme all’Italia, registrerà rispettivamente un -0,6% e un +0,5%.



Per quanto riguarda il cuneo fiscale, in Italia si registrano sempre le migliori performance: vi è ancora un netto contrasto tra salario lordo e netto, quanto basta per rimanere, secondo l’Ocse al sesto posto nella classifica dei 34 paesi membri. Le tasse sugli stipendi pesano come un macigno sia sulle spalle dei datori di lavoro che su quelle dei lavoratori stessi. Nel 2012 in Italia, per un lavoratore single e senza figli, la percentuale del cuneo fiscale è stata pari al 47,6%, contro una media Ocse del 35,6%. Mentre analizzando il dato di un lavoratore con famiglia e due figli, l’Italia si posiziona quarta nella classifica con un cuneo fiscale pari a 38,3% contro la media Ocse del 26,1%. Al primo posto della classifica Ocse troviamo il Belgio con il 56%, al secondo invece c’è la Francia con 50,2%, terza la Germania 49,7%. Il Cile è ultimo con il 7%.



Tutti i governi, almeno a parole, hanno cercato negli anni di abbattere questo problema, ma evidentemente con scarsi risultati; l’ultimo a mettere le mani sul cuneo fiscale è stato il governo di Mario Monti. Ma le previsioni per questo 2013 non si prospettano per niente buone, considerato che le due aliquote che formano il cuneo fiscale sono aumentate dello 0,33% grazie al decreto “Salva-Italia”, e l’unica prospettiva che attualmente si riesce a intravedere è solamente una pressione fiscale ancora più pesante. Ai datori di lavoro non rimarrà che pagare ancora più tasse.

A questo proposito, ci tornano alla mente le parole del responsabile economico del Pd, il primo partito della coalizione che ha vinto le elezioni, in una storica intervista rilasciata a metà gennaio al Financial Times: Stefano Fassina ha dichiarato infatti che bisogna rilanciare la domanda interna perché “le esportazioni di per sé non possono aiutare abbastanza l’economia italiana”. Quindi, a questo scopo, il centrosinistra “cercherà un accordo con i sindacati e le imprese: congelare gli adeguamenti di stipendio in cambio di investimenti. Negli ultimi dieci anni gli investimenti nel settore privato sono stati molto scarsi”.

Quindi, secondo Fassina (e il Pd), la linea sarebbe quella di favorire le imprese tenendo fermi gli stipendi con le tasse che, probabilmente, aumenteranno. Al di là del fatto che persino Susanna Camusso ha dichiarato qualche giorno fa che “la prima cosa da fare è frenare l’emorragia della chiusura delle imprese”, mentre pare che l’economista Fassina non avverta l’urgenza di porre freno a un fenomeno che nell’ultimo anno ha portato alla chiusura di 360.000 imprese (1.000 al giorno), chi scrive crede che la strada maestra per creare “beneficio” per imprese e lavoratori stia nella contrattazione decentrata e aziendale. In merito, suggeriamo a Fassina di chiedere qualche consiglio a Giorgio Santini, neosenatore del Pd, a lungo sindacalista nella Cisl e grande sostenitore del decentramento della contrattazione.

In Germania, sono proprio la forte responsabilità degli attori sociali e il loro virtuoso dialogo che, nella contrattazione decentrata, esprimono elementi e fattori per una migliore produttività e per migliori salari. È più forte che mai in Italia l’esigenza di contrattare al secondo livello in azienda, secondo quanto stabilito il 28 giugno 2011 e quanto rilanciato a fine novembre 2012 dall’accordo sulla produttività. La crescita può venire migliorando l’organizzazione del lavoro, dei turni e degli orari, delle professionalità e della flessibilità. È vero, il Governo Monti ha cresciuto notevolmente le tasse, ma ha quantomeno pensato di detassare il salario di produttività. Di certo, non gliel’ha suggerito Fassina.