Il fenomeno Beppe Grillo è stato tale perché plurime sono le motivazioni alla base del suo successo. Peccato che nemmeno una di queste possa essere collegata, a mio avviso, alla sua proposta politica sul cruciale tema del lavoro e non solo. Per accorgerci di questo basta leggere proprio quelli che sono i punti programmatici che il Movimento 5 Stelle propone.
Abolizione della legge Biagi e sussidio di disoccupazione per tutti: neanche a farlo apposta, quanto di più lontano dalla visione del diritto del lavoro che credo essere quella giusta per un’Italia che procede verso il futuro, invece di chiudersi nelle pieghe del Novecento che è pure finito. Come se non bastasse, tra le iniziative grilline c’è addirittura quella di un reddito di cittadinanza al posto della “macchina infernale”, come da Grillo definita nel suo tsunami tour, “che paga 19 milioni di pensioni e 4 milioni di stipendi pubblici”. Tutto questo sarebbe da sostituire con questo irresponsabile istituto, secondo il leader dei grillini.
Non voglio entrare nel merito di dove trovare le risorse economiche per corrispondere un tale reddito, mi fermo molto prima: non ha senso chiedersi come trovare i soldi per pagare qualcosa che è già profondamente sbagliato di per sé; ci troviamo infatti davanti a un piano del tutto iniquo, in quanto realizza una redistribuzione di ricchezza indistinta, fatta senza guardare minimamente al merito e alle competenze della singola persona. Ben altra cosa è invece garantire un sussidio per la disoccupazione che sia effettivamente in grado, da un lato, di sostenere i momenti di esclusione di una donna o di un uomo dal mercato del lavoro, ma dall’altro volto al reinserimento del disoccupato nel mercato (ad esempio, grazie alla previsione dell’impossibilità di ricevere il sussidio dopo aver rifiutato offerte di lavoro valide e dignitose da parte dei centri per l’impiego; o, ancora, subordinando l’erogazione del sussidio alla dimostrazione di un impegno concreto e attivo nella ricerca di una nuova occupazione).
I grillini hanno collezionato il consenso dei tanti a cui piace lamentarsi e purtroppo anche dei tanti che si impegnano, ma che sono disperati e sfiancati dalla crisi; e che non hanno avuto perciò la forza di cercare il programma più adatto per la crescita dell’economia reale del Paese. In tanti ha fatto così breccia la forza, il chiasso, la capillarità della campagna elettorale dei grillini, che è stata così efficace da bastare essa stessa per recuperare voti, dati sulla fiducia che non spingeva neanche a consultare i contenuti del programma del movimento.
Circa l’abolizione della legge Biagi poi, il discorso è quasi analogo, con la precisazione che qui bisogna ricordare gli interventi che già la legge Fornero ha provveduto ad apportare in tal senso. Su una cosa concordiamo: la legge Fornero va cambiata, ma su questo sono d’accordo praticamente tutti. L’attacco a una disciplina, che nel decennio successivo alla sua emanazione, non ha fatto altro che far emergere grossi spicchi di lavoro sommerso e aumentare l’occupazione è arretratezza culturale di prim’ordine. Solo chi non conosce le relazioni industriali – e per questo pensa sia giusto abolire le confederazioni storiche e tenere solo frange che per scelta decidono di sottrarsi da ogni tipo di confronto – può arrivare ad affermare che i contratti flessibili siano il male assoluto, da dover rendere costoso e impraticabile; non si pensa nemmeno per un attimo al fatto che essi traducano modalità di svolgimento della prestazione lavorativa che nascono nella realtà del mondo del lavoro.
Come può considerarsi una politica concreta e costruttiva la pura e semplice dichiarazione di voler abolire una legge? Siamo davanti all’ennesimo slogan, arma letale di una politica vecchia e che questi politici nuovi sembrano invece prediligere su tutto.
È cristallino, a questo punto, come a 5 stelle i grillini possono vantare solo il nome del movimento, non certo la sostanza del loro programma.
In collaborazione con www.amicimarcobiagi.com