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Più passa il tempo, più il nostro Paese assomiglia a un transatlantico che, avendo perso la rotta dello sviluppo e imbarcato molta acqua attraverso un’improduttività ormai eretta a sistema e, un po’, a mentalità comune, si trova ora arenato nelle secche di un’economia europea che stenta a riprendersi. La situazione di equipaggio e passeggeri, poi, è sempre più instabile: ci si agita, comprensibilmente, molto, ma senza una direzione utile e condivisa. L’esito non può che essere quello di impoverire ulteriormente la vita reale di ciascuno, come testimonia la notizia per cui l’Italia è il “Paese dei salari bloccati”, ben al di sotto della media dell’Eurozona, con retribuzioni orarie lorde che sono inferiori del 14,6% a quelle tedesche.
La crisi che stiamo attraversando non si risolverà tanto facilmente: questa volta il problema va affrontato per ciò che è; in caso contrario, l’uso di inutili palliativi non potrà che protrarla ancora molto a lungo. Ad aggravarla, inoltre, vi è una connessione, tanto inscindibile quanto pericolosa, con un grave depauperamento del capitale umano. Immersi in una cultura che ci ha abituati a concepire il lavoro come un diritto, a prescindere da ogni responsabilità in termini di costruzione di valore, ci siamo infatti ridotti non solo a non investire – come sarebbe stato certamente opportuno -, ma addirittura a disinvestire sulle competenze professionali delle persone.
Equipaggio e passeggeri si sono trovati così, in questi anni, nella peggiore delle condizioni possibili: non solo senza una guida capace di tracciare una chiara rotta per lo sviluppo, ma anche con pochi strumenti, personali e professionali, in grado di far fronte all’attuale situazione e contribuire alla ripartenza; una ripartenza che non può certo giungere sull’onda di semplicistici – e non più realistici – aiuti statali o comunitari, né come esito dell’effetto dopante di teorie basate sulla crescita legata ai consumi realizzati a debito.
Come agire, allora, per provare a ripartire ed essere nelle condizioni di intercettare un’eventuale, auspicabile, ripresa? Come concorrere a tracciare una nuova rotta, sostenibile ed equa per tutti?Anzitutto occorre ricostruire un nesso chiaro, a ogni livello, tra lavoro e valore prodotto; puntare, cioè, su una reale produzione di valore, misurata dalla capacità di risolvere i bisogni esistenti. Senza questa capacità di aumentare il valore generato dal lavoro di ciascuno – dai governanti agli operai, dagli imprenditori agli insegnanti -, non sarà possibile perseguire un’autentica produttività, non si potranno certo ridurre il costo del lavoro, né aumentare il salario delle persone, né, tantomeno, potremo crescere in termini economici come Paese.
Per giungere a questi importanti traguardi dobbiamo, da una parte, uscire dall’illusione che il posto di lavoro fisso sia un diritto indiscutibile per tutti – sia nel pubblico che nel privato – e, dall’altra, fare leva sulla responsabilità di chi lavora, contenendo subito e riqualificando nel breve termine quelle sacche improduttive che si stanno rivelando come una falla che lo scafo, ahimè, non è più in grado di reggere.
Occorre dunque agire subito e con una strategia chiara, tenendo compresenti due fattori essenziali nella costruzione di un futuro che coinvolga tutte le componenti sociali del nostro Paese, chiamate a condividere e sostenere – nei fatti – una rotta capace di farci riprendere il largo. Da un lato, infatti, è decisivo individuare ciò che si può fare subito per alimentare una dinamicità necessaria per ripartire, usando rimorchiatori capaci di dare il primo abbrivio e farci allontanare un po’ dalle secche; dall’altro, tuttavia, è fondamentale che il traino provvisorio, consentito da iniziative di brevissimo termine, avvenga nella direzione giusta, capace, quindi, di riportarci al largo. Non tutte le iniziative sono infatti in grado di disincagliarci e restituirci in maniera stabile alla navigazione in pieno oceano. E poiché le energie da mettere in campo sono contingentate, un loro preciso utilizzo si rivelerà decisivo, costituendo anche un essenziale criterio di giudizio per valutare l’operato di chi sarà chiamato sulla tolda di comando. Occorre dunque non confondere i due piani – strategico e di breve – e, soprattutto, valutarne la coerenza intrinseca.
Serve cioè una rotta, una direzione strategica: quella del lavoro strettamente ancorato alla produzione di valore, dove la produttività si pone come essenziale fattore di sviluppo, riduzione dei costi, maggior competitività, aumento degli stipendi e maggior benessere per tutti. Nel contempo sono necessari, subito, interventi di breve termine, come la riduzione del cuneo fiscale o la decisione di incentivare assunzioni, che possono alimentare immediatamente l’economia generale e quella delle persone coinvolte, ma che nel contempo devono sin dall’inizio avere una prospettiva di valore nel medio e lungo termine. Il tempo in cui scavare buche per poi riempirle poteva essere ritenuto utile per rilanciare la crescita, è finito per sempre: a meno che non si voglia contribuire ulteriormente ad allargare la già preoccupante falla, imbarcando altra acqua.
“Avanti tutta”, allora: diamo forza ai motori dei rimorchiatori di cui disponiamo e riaccendiamo quelli del Paese. Mettiamo in acqua tutte le energie – umane, professionali, educative ed imprenditoriali – ancora in nostro possesso, nel modo più condiviso possibile. Sì, certo, tra le varie iniziative di breve che verranno individuate, è anche utile dare un “colpettino” alla nave con la riduzione del cuneo fiscale o, più in generale, con azioni di incentivazione delle assunzioni. Ma se vogliamo davvero recuperare il gap con la Germania – prendendo il largo anche oltre, e non solo sulle retribuzioni – occorre incentivare soprattutto gli ambiti di lavoro, gli strumenti legislativi e le buone pratiche che siano davvero in grado di aiutarci a ricostruire un’economia e un mercato del lavoro capace di generare valore aggiunto per tutti, restituendo finalmente ciascuno di noi a un compito preciso e realmente utile, nell’ambito di una rotta chiara e intrapresa con competenza e decisione. D’altra parte, come diceva Seneca: “Non esiste vento a favore per il marinaio che non sa dove andare”.