Questo è quanto sta accadendo in Italia: 197.000 laureati under 35 non hanno un lavoro e 28.000 cittadini tra i 20 e i 40 anni hanno lasciato il Paese nel 2011. I motivi che hanno generato questa patologia sono diversi. Anzitutto i bassi tassi di crescita, dovuti soprattutto a tutte quelle “riforme mancate” che da troppi anni e troppe parti continuano a essere promesse e mai realizzate; la mancata corrispondenza tra il titolo di studio conseguito e la professione esercitata (o sperata); il circolo vizioso tra le richieste del sistema produttivo, cioè la domanda di lavoro, che non trova risposte adeguate in termini di offerta di lavoro e viceversa. Il mercato del lavoro italiano, dunque, soffre di un eccesso di offerta rispetto alla capacità di assorbimento della domanda, da un lato, e di un eccesso di domanda di lavoro potenziale rispetto ai livelli di offerta, dall’altro.



Commentando le potenzialità del sistema delle piccole imprese, fulcro e volano dell’economia italiana, il Cnel dice che “non riesce a creare un sufficiente numero di posti di lavoro qualificati, per cui, da un lato ci si trova a importare manodopera non qualificata dall’estero mentre, dall’altro, si assiste da tempo a un brain drain”. L’Italia sembra essere divenuta la patria del mismatch, il mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro, sia esso di tipo “territoriale”, causato da diversi ritmi di crescita e sviluppo delle aree di uno stesso Paese, sia “settoriale”, cioè determinato da differenze di remunerazione, produttività e tecnologia nei diversi settori che compongono l’apparato produttivo, sia anche “di qualifica”, generato da un’offerta di lavoro non in linea con le esigenze del mercato e da una domanda inevasa a causa delle qualifiche professionali richieste.



Dunque, diventa indifferibile una politica formativa mirata: forse la sola medicina per evitare la cronicizzazione della malattia. Formazione e studio sono opportunità di crescita, cioè una speranza più che concreta per rispondere alla domanda di lavoro e di sviluppo. La formazione professionale infatti sta assumendo sempre più un’importanza strategica nel mondo produttivo.

Essa viene incontro, da una parte, ai fabbisogni formativi espressi dalle aziende e, dall’altra, alle esigenze dei giovani di acquisire competenze e dei lavoratori attivi e più maturi di mantenersi aggiornati rispetto cambiamenti del mercato. Per essere competitivi e per crescere professionalmente bisogna quindi in primo luogo specializzarsi, tenersi sempre aggiornati e ampliare le proprie conoscenze senza aver mai paura di mettersi in discussione.



Questo monito vale per i più giovani, oggi particolarmente esposti alla crisi, ma anche per i meno giovani, che in questa particolare fase economica stanno pagando un prezzo molto alto. I dati più recenti dell’Isfol dicono invece che la quota degli adulti 25-64enni che partecipa a iniziative di istruzione e formazione è diminuita: dal 6,2% del 2010 al 5,7% del 2011.

Solo con l’apprendimento e la conoscenza si possono affrontare le grandi sfide. E il futuro del nostro Paese, dei nostri giovani, è la più grande delle sfide.