A proposito dell’assenza di un governo e di una guida politica, in meno di 24 ore prima Sergio Marchionne poi Giorgio Squinzi hanno fatto sentire la loro voce, che è sì voce dell’industria e dell’impresa, ma che non è solo voce dell’economia. È piuttosto anche quella di un Paese stremato, che non ne può più di perdere le proprie aziende (360.000 solo nel 2012) anche per i debiti dello Stato, e che non vuole più assistere ai drammatici epiloghi di imprenditori ed esodati. Lo stallo politico dura ormai da 45 giorni: il Paese ha bisogno al più presto di un governo capace di dare risposte efficaci soprattutto all’economia reale. «È davvero paradossale – attacca Maurizio Sacconi, senatore Pdl ed ex ministro del Lavoro, in questa intervista a ilsussidiario.net – a tal punto da legittimare qualche dietrologia su taluni interessi interni e internazionali che preferiscono un’Italia allo sbando, preda di corti islamiche moraliste e giustizialiste, di derive nichiliste, di gruppi di acquisto a buon mercato dei nostri assets bancari e industriali. E vi è un solo governo capace di affrontare l’emergenza economica e sociale in questa legislatura, quello che potrebbe nascere da un esplicito accordo politico-programmatico tra centrodestra e centrosinistra, prioritariamente dedicato a rinegoziare i patti europei in funzione di una crescita distribuita e non solo “baltica”».
Quali risposte ha dato la recente riforma Fornero al lavoro e all’economia reale?
È facilissimo vederlo ed è sotto gli occhi di tutti, la legge Fornero è un tale disastro che ciò è percettibile da ciascuno e in ciascun ambito: è stata disastrosa in tutta la ri-regolazione, ha devastato la propensione ad assumere in un tempo nel quale già questa è resa contratta dalle prospettive incerte. E quindi va cambiata quanto prima. Ormai i giudizi sulla legge Fornero sono chiari, da quelli di monitoraggio a quelli che l’esperienza e il principio di realtà ci fanno individuare diffusamente.
Michele Tiraboschi, l’allievo di Marco Biagi che insieme a lei ha portato avanti la riforma del lavoro dopo la morte del professore, ha più volte denunciato il cambio di rotta della riforma Fornero rispetto alla riforma Biagi. Lei cosa ne pensa?
È parso a lui, ma anche a me, di leggere un regresso di formalismo che deve essere superato. Marco Biagi era la negazione del formalismo. Era alla ricerca di tutele effettive, sostanziali, capaci di garantire in modo promozionale i diritti: il vero diritto al lavoro si realizza attraverso l’occupabilità, attraverso cioè l’accesso alle conoscenze, alle competenze. Il diritto alla conciliazione tra tempo di vita e tempo di famiglia si realizza modulando l’orario di lavoro nelle concrete e diverse circostanze, soggettive e oggettive, e così via.
Il 18 marzo il Pdl ha presentato al Senato il ddl per la redazione dello Statuto dei Lavori. Lei ha più volte sottolineato quanto questo testo unico fosse il sogno del Professor Biagi. Quale valore aggiunto può dare il nuovo Statuto?
La scelta vera di Marco Biagi era la ricerca di una maggiore effettività delle tutele attraverso la contrattazione: meno legge, più contratto. E lo Statuto dei Lavori è meno legge per dare più spazio al contratto: più sussidiarietà in favore degli attori sociali. Considero sciocco il dibattito che c’è stato sul contratto unico, che era un modo a sinistra per riproporre il contratto a tempo indeterminato con meno articolo 18, quindi un modo farisaico di affrontare il problema dell’articolo 18. Ma il tema vero è tanti contratti alla fine quanti sono i lavoratori: su un pavimento di norme inderogabili e universali, dobbiamo favorire quanto più l’adattabilità reciproca (ovvero la capacità di adattarsi) fra datore di lavoro e lavoratore, affinché le tutele siano effettive e il lavoro sia produttivo.
Il 16 di aprile Cgil, Cisl e Uil hanno indetto una manifestazione unitaria per sollecitare il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga perché secondo loro mancherebbe all’appello per il 2013 circa 1 miliardo di euro. Si è trattato di stime sbagliate e di fondi insufficienti, o il Governo Monti ha preferito non impegnare risorse sapendo che sarebbe poi toccato a qualcun altro trovarle?
Nella seconda metà del 2012 è parso al Governo di cogliere un uso meno controllato della cassa integrazione in deroga: si sono registrati alcuni andamenti che sono stati ritenuti fuori controllo. Ciò ha riguardato in particolare una regione del sud e una grande regione del nord, anche se in questo secondo caso l’andamento è sembrato obiettivamente giustificato da ciò che è accaduto nell’economia reale. Mentre invece nel caso della regione del sud è parso venire meno quell’uso parsimonioso che fino a quel momento si era registrato.
E quindi?
Ciò ha portato il Governo a una scelta certamente opinabile, quella di fermare il finanziamento con un riverbero negativo purtroppo su molti lavoratori, che hanno atteso mesi per avere ciò che gli accordi avevano loro promesso, e con un ricalcolo delle esigenze che a questo punto deve essere compiuto.
In che modo?
Certamente non rivedendo ogni domanda, ma rinegoziando con le regioni i parametri in base ai quali erogare la cassa in deroga. Occorrono cioè parametri che non consentano l’uso della cassa in deroga quando si è irreversibilmente consumata un’impresa o una parte di essa. Perché nel caso della cassa integrazione occorre sempre la prospettiva del rientro, una prospettiva che poi può anche non realizzarsi, ma che in partenza non deve essere a priori evidentemente negata.
È stato proprio il suo Ministero a sfruttare in modo nuovo ed efficace i fondi della cassa integrazione in deroga…
A dire il vero lo strumento della cassa in deroga c’era già. La nostra scelta è stata quella di impiegarla massicciamente. La dimensione ha indotto poi la novità di un accordo Stato-Regioni, che attraverso queste ultime si è poi esteso alle Parti Sociali. Per quanto riguarda la modalità di finanziamento, si è pervenuti alle risorse straordinarie tanto attraverso il bilancio dello Stato quanto attraverso l’utilizzo del Fondo Sociale Europeo, in coerenza con le sue caratteristiche.
In che senso?
Nel senso che la parte di finanziamento del Fondo Sociale si rivolgeva anche alle necessarie politiche attive e l’accordo quindi con le Regioni è consistito non solo nella protezione del reddito ma anche nell’impegno ad accompagnare quanto più i lavoratori costretti all’inattività e soprattutto quelli costretti alla transizione verso un altro auspicabile posto di lavoro a fruire di servizi che poi si sono prodotti naturalmente con geometrie variabili nel territorio.
Quali sono stati i risultati anche da un punto di vista qualitativo?
Questo uso massiccio della cassa integrazione in deroga ha consentito una strumentazione flessibile attraverso la quale si è garantita la coesione sociale e allo stesso tempo la continuità delle imprese. Io difendo questi nostri istituti che sono stati criticati per l’abuso temporale che talora si è prodotto benché coerente con la norma di legge: questo istituto è stato straordinariamente utile, insisto, in una congiuntura che si è caratterizzata soprattutto per il crollo della domanda prima ancora che per esigenze di ristrutturazione dell’offerta. L’importanza di questa strumentazione è stata appunto resa evidente dal fatto che abbiamo consentito a molte imprese di sopravvivere con il loro contenuto principale, i loro lavoratori.
Recentemente Susanna Camusso si è unita alle dichiarazioni di Bonanni e Angeletti affermando che bisogna sostenere l’impresa per sostenere il lavoro. Siamo all’inizio di un nuovo atteggiamento?
Nessuna svolta, siamo semplicemente nella banalità. Non ho mai visto un lavoratore che possa prescindere dall’impresa nella quale è collocato. E’ evidente che in questo momento molte imprese anche con oggettive capacità competitive, in presenza del crollo della domanda e di interruzione del circuito della liquidità, rischiano di chiudere pur avendo capacità competitive. Ed è quindi doveroso preoccuparci della loro sopravvivenza anche dal punto di vista della loro liquidità. Da sempre il sindacato, qualunque organizzazione sindacale, si è preoccupato della sopravvivenza delle imprese: ora che un problema come quello della liquidità investe diffusamente l’impresa, i sindacati hanno semplicemente sollecitato questa risposta da parte dello Stato.
(Giuseppe Sabella)