Era il 1975 quando Enzo Jannacci ci raccontava della sua Vincenzina davanti a quella fabbrica che amava, pur non conoscendone la vita che dentro ci stava. Sono passati quasi quarant’anni e proprio pochi giorni fa “il dottore” ci ha lasciato. Con Jannacci se n’è andato, anche, un lucido testimone di un’epoca e di un operaismo come quello della Milano degli anni ’70 che, sicuramente, ha rappresentato un pezzo di storia del lavoro nel nostro Paese.



Quella del ’75 era l’Italia ancora governata dalla “balena bianca” che si apprestava a sottoscrivere il compromesso storico; oggi dopo il governo dei super tecnici, ci stiamo incamminando (forse) verso quello dei “saggi” (?). I dati pubblicati ieri dall’Istat ci raccontano, infatti, un Paese diverso, probabilmente molto più smarrito e senza punti di riferimento politici e culturali, a differenza di quello degli anni ’70, e di un lavoro che manca e che fa fatica a essere vissuto come elemento di autentica promozione umana e sociale.



Il nostro mercato del lavoro fotografato dall’istituto di statistica, ci dice, prima di tutto, che la crisi continua, sebbene si vedano alcuni timidi segnali di ripresa a livello congiunturale. I primi a subire le pesanti conseguenze umane e sociali di questo difficile momento continuano a essere, quindi, i lavoratori, in particolare, quelli più a rischio di rimanere esclusi, fuori dal fortino delle tutele, a partire dai giovani.

Sebbene a febbraio 2013 gli occupati siano 22 milioni 739 mila, in aumento dello 0,2% rispetto a gennaio, su base annua l’occupazione diminuisce dell’1,0%. Si sono persi in dodici mesi ben 219 mila posti di lavoro. In questa prospettiva ci viene data almeno una buona notizia: l’occupazione femminile aumenta dello 0,5% sia rispetto al mese precedente, sia nei dodici mesi.



Il numero di disoccupati, pari a 2 milioni 971 mila, diminuisce dello 0,9% rispetto a gennaio (-28 mila), ma su base annua anche la disoccupazione cresce del 15,6%. Altre 400 mila persone entrano così nel tunnel del “non lavoro”. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero l’incidenza dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è ancora pari al 37,8%.

Sembra chiaro come, anche dai dati diffusi proprio ieri dall’Istat, le parole d’ordine per i saggi chiamati a salvare, se non il Paese almeno la legislatura appena iniziata, non possano che essere quelle dello sviluppo e del lavoro; le due priorità da cui far ripartire, se possibile, il nostro Paese.

In particolare sul lavoro, si dovrà, necessariamente, prendere atto del fallimento della recente riforma del lavoro targata Fornero che, probabilmente, sta creando problemi maggiori rispetto a quelle criticità che si volevano, o si riteneva che si dovessero, risolvere specialmente per quanto riguarda la flessibilità in entrata.

In questi quadro, il metodo e le intuizioni che ci ha lasciato Marco Biagi, ormai 11 anni fa, possono rappresentare sicuramente un valido punto di partenza per rilanciare l’occupazione e, quindi, il Paese.

 

In collaborazione con www.amicimarcobiagi.com