Che la riforma delle pensioni scritta dell’ex ministro Fornero abbia prodotto più danni che altro è ormai opinione condivisa. Il governo sembra seriamente intenzionato a mettervi mano. Non tanto per stravolgerla, rigettando per l’ennesima volta la disciplina e i lavoratori nell’incertezza giuridica, quanto per correggerne alcuni connotati evidentemente inaccettabili. In particolare, è allo studio l’introduzione di una forma di flessibilità che consenta al lavoratore di scegliere se andare in pensione prima o dopo, in un range compreso trai 62 e i 70 anni, sulla base di disincentivi e incentivi. Ovviamente, la priorità restano gli esodati. Maurizio Petriccioli, segretario confederale della Cisl con delega alla Democrazia Economica, Economia Sociale, Fisco, Previdenza e Formazione Sindacale, ci spiega come sarebbe opportuno agire.
Partiamo dalla vicenda degli esodati. Come va affrontata?
E’indubbiamente la prima emergenza, e va sanata allargando ulteriormente le deroghe alla normativa o istituendo dei fondi che accompagnino i lavoratori al pensionamento attraverso forme di ammortizzazione sociale.
E una volta sanata l’emergenza?
Sarà necessario, a quel punto, studiare il modo concreto di introdurre la flessibilità nell’accesso al regime previdenziale. Considerando che, già di per sé, l’attuale sistema prevede delle forti penalizzazioni. Mi spiego: attualmente, all’ammontare complessivo degli accantonamenti previdenziali di tutta la vita lavorativa di un individuo, viene applicato l’ultimo coefficiente di trasformazione disponibile (vengono modificati ogni due anni). Si dà il caso che, più passa il tempo, e più i coefficienti si abbassano. Sono, infatti, inversamente proporzionali, all’aspettativa di vita.
Lei cosa suggerisce?
E’ necessario introdurre il sistema pro rata per l’applicazione dei coefficienti di calcolo della pensione. A ciascun montante contributivo, cioè, andrebbe applicato il coefficiente relativo al periodo in cui è stato accantonato. Il calcolo finale risulterebbe decisamente diverso. In questo schema, inoltre, si dovrà tenere conto della specificità delle diverse tipologie di lavoro, e della loro incidenza sulle prospettive di vita. Non si possono prevedere requisiti di anzianità identici per muratori, lavoratori degli altiforni o professori universitari.
Crede che sia necessario rimetter mano alla lista dei lavori usuranti?
La Cisl ha una proposta alternativa: invece che riaprire la discussione infinita sui lavori usuranti, in cui ciascuna categoria porterebbe acqua al proprio mulino producendo l’ennesimo stallo, pensiamo che, partendo dalle azioni e dai rinnovi contrattuali, possano essere i sindacati e i datori di lavoro a istituire dei fondi speciali, categoria per categoria, che incentivino e promuovano l’entrata anticipata in pensione. Tali fondi contrattuali permetterebbero alle categorie che fanno lavori più usuranti e pericolosi di completare le norme pubbliche. Lo Stato, dal canto suo, dovrebbe semplicemente offrire una leva fiscale vantaggiosa, per rendere possibile, per le imprese, effettuare questi accantonamenti. Un sistema del genere consentirebbe alle aziende, ai sindacati e ai lavoratori di tornare protagonisti della capacità di fare welfare e previdenza alternativi.
Eppure, oggi, è sempre più improbabile svolgere per tutta la vita lo stesso lavoro. La proposta della Cisl è applicabile anche alla discontinuità che caratterizza il mercato?
Effettivamente, un lavoratore, nell’arco della propria esistenza, può cambiare più volte impiego. Il sistema di cui parlo è applicabile se viene esteso a tutti i settori e se in ciascun settore la contrattazione si farà carico di implementare forme di accantonamento proporzionali all’usura effettiva prodotta da quel determinato lavoro. Ovviamente, non sempre sarà necessario prevedere misure del genere. Va da sé, infatti, che non tutti i lavori sono usuranti.
Tutte le misure di cui ha parlato hanno un costo…
Con il sistema contributivo, il lavoratore che decide di andare prima in pensione riceve un assegno ridotto. Le casse previdenziali non dovrebbero fare particolari sforzi. Si obietta che, con la flessibilità, la stragrande maggioranza dei lavoratori accederebbe al regime anticipatamente. Ma questo non è vero, e lo dimostrano i fatti: la riforma Maroni, infatti, prevedeva anch’essa forme di flessibilità in uscita. Potendo scegliere, la maggioranza dei lavoratori ha deciso di restare fino alla fine. Non dimentichiamo, poi, che la riforma Fornero ha determinato un risparmio di 140 miliardi di euro in dieci anni da cui sarebbe lecito attingere per sanare le iniquità che essa stessa ha prodotto.
(Paolo Nessi)