Le affermazioni sul fronte previdenziale contenute nel discorso programmatico di Enrico Letta potrebbero trovare presto reale applicazione. Enrico Giovannini, il neo ministro del lavoro, di fronte all’omonima commissione al Senato, ha abbozzato le linee guida delle modifica alla riforma Fornero. L’ipotesi dominante, come già ampiamente anticipato, consiste nell’introduzione di meccanismi di flessibilità che consentano di accedere al regime pensionistico prima o dopo in base a degli incentivi o a dei disincentivi. Ieri, Giovannini ha parlato esplicitamente anche  di staffetta generazionale, un provvedimento volto a risolvere, in parte, il problema della disoccupazione giovanile e in parte quelli legati all’elevata età pensionabile: il lavoratore anziano dovrebbe poter accettare un part time in cambio dell’assunzione, da parte dell’azienda, di un giovane. Abbiamo chiesto a Daniele Cirioli, dottore di ricerca in Diritto delle relazioni di lavoro, un parere sulle proposte del ministro.



Pensa che sia giusto metter mano per l’ennesima volta alla disciplina pensionistica?

In termini di convenienza, credo che ci siano tutti i presupposti per modificarla. La riforma, infatti, ha creato molti problemi, a partire dalla vicenda dagli esodati. Anche se, personalmente, la ritengono sovrastimata e considero poco legittimo prendere in considerazione tutte le ipotesi: l’esodato è esclusivamente chi ha sottoscritto un accordo privato o collettivo di uscita in cambio di incentivi; oltretutto, se un individuo ha preferito andarsene prima dal lavoro, non vedo perché sia lo Stato a doversi fare carico della sua permanenza fuori dal rapporto. In ogni caso, la legge Fornero ha prodotto gravi sbilanciamenti a svantaggio dei giovani, le cui pensioni – nonostante i requisiti di accesso estremamente elevati – corrisponderanno al 40%, massimo 50% dell’ultimo reddito. E’ doveroso intervenire per porre rimedio a queste situazioni.



Come?

In linea generale, credo che tutti i problemi del welfare si risolverebbero liberalizzando le pensioni. Ciascuno dovrebbe poter decidere da sé quanto e come investire sulla propria rendita. Oggi esiste un vincolo tra le generazioni tale per cui chi lavora paga le pensioni a chi non lavora più. Nel momento in cui si potesse decidere autonomamente, questo vincolo si scioglierebbe. Un sistema del genere potrebbe avviarsi senza particolari oneri per le casse dello Stato promuovendo e potenziando la previdenza integrativa, tanto celebrata da tutti i governi, ma mai realmente promossa.

Perché?



Nessun politico ne vuol sentir parlare perché la leva pensionistica incide sul consenso. Prevedibilmente, una riforma del genere non si realizzerà mai.

 

Realisticamente, quindi, cosa si può fare?

La flessibilità in uscita di cui ha parlato Giovannini è un’ottima soluzione. Stabilire una previdenza libera, che consenta di decidere quando andare in pensione, pur dovendo pagare delle penalizzazioni, è la strada migliore per risolverebbe molti dei problemi finanziari e individuare le risorse, per esempio, per gli esodati.

 

Il sistema sarebbe sostenibile finanziariamente?

A rigor di logica, può essere mantenuto in equilibrio attraverso lo studio di penalizzazioni che corrispondano il più possibile al mancato introito per le casse dello Stato derivante dai contributi che l’individuo avrebbe versato se avesse mantenuto il rapporto di lavoro.

 

Cosa ne pensa, invece, della staffetta generazionale?

Credo che il sistema più efficiente sia quello in cui le regole sono ridotte ai minimi termini. La staffetta, invece, vincola – e pesantemente – le parti, sia sul fronte economico che su quello delle regole. E’indubbio, inoltre, che costerebbe parecchio. La riduzione del 50% del lavoro di un dipendente anziano, infatti, dovrebbe essere compensata continuando a versargli i contributi o anticipandogli parte della pensione. Contestualmente, si aggiungerebbe il costo dei contributi per il lavoratore giovane. Per l’azienda non vedo particolari vantaggi, salvo il rinnovo del personale.

 

(Paolo Nessi)

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