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L’emergenza occupazione ha purtroppo coinvolto pesantemente anche la Regione Lombardia. Si è infatti passati da una media di disoccupati del 5,8% nel 2011 (dati Istat) al 7,9% del 2012, senza che il quarto trimestre abbia peraltro dato segnali di ripresa. Nonostante i dati su base nazionale siano certamente peggiori (la media, nello stesso periodo, è infatti giunta dall’8,4% addirittura all’11,6%), si può però affermare che la crisi non ha risparmiato proprio nessuno. Unico elemento positivo – da rilevare – è che per far fronte a questa situazione la Regione Lombardia, già nel corso della scorsa legislatura – trovandosi in relativa buona salute – ha ben utilizzato gli spazi di autonomia a lei concessi, dando vita a una rete mista di servizi per l’impiego pubblici e privati e, contemporaneamente, attraverso la modalità della “dote” riconosciuta al lavoratore, ha posto il baricentro delle politiche attive sui servizi necessari a riportare effettivamente al lavoro le persone.
E non solo: la Regione ha agito anche su formazione professionale, apprendistato e sistema scolastico triennale con un metodo analogo. A seconda delle platee si è infatti deciso di dotare le persone di uno specifico contributo economico, per consentire loro di scegliere tra i migliori operatori, previamente selezionati. Si è dunque introdotto un criterio di “mercato monitorato” al posto della consueta logica di puro finanziamento pubblico degli operatori. La grande novità, anche culturale, è stata innanzitutto di puntare sul finanziamento della domanda di servizi e non più su quello dell’offerta, rivelatasi in molti casi alla prova dei fatti non adeguata all’inserimento professionale. Un modello, quello lombardo, certamente positivo e che, ora, sarebbe auspicabile venisse considerato anche a livello nazionale.
Di fronte alle recenti, ulteriori, difficoltà economiche e occupazionali che la Lombardia sta subendo, è però decisivo che quanto sinora messo in atto venga capitalizzato attraverso iniziative ben focalizzate, selettive e capaci di generare valore aggiunto per tutti. La fase delle sperimentazioni è infatti da considerarsi conclusa: è tempo di vedere se chi è ora al Governo regionale proseguirà davvero sulla strada tracciata o se anche quanto fatto sinora si rivelerà frutto di una logica di tipo elettorale. Siamo così giunti, davvero, al dunque.
In particolare, per quanto riguarda le politiche attive, quale impostazione attuare? Certamente quella, rivelatasi valida, del finanziamento della domanda. Occorre cioè selezionare anticipatamente gli operatori sulla base di caratteristiche minime, monitorarli e stabilire un rating conseguente alla loro efficacia, lasciando poi che il mercato faccia il suo corso; far concorrere in termini complementari strutture pubbliche e private, arrivando sino al punto di concepire – come nel caso delle Agenzie per il lavoro – un loro coinvolgimento nel sostegno economico delle iniziative attraverso il welfare di sistema. Affinché il tutto funzioni al meglio occorre però che vi sia una chiara governance pubblica centrale, capace anche di dare stabilità e continuità ai progetti iniziati, così da consentire investimenti di medio-lungo termine.
Ma non basta: occorre che ognuno dei soggetti coinvolti sia fortemente orientato a collaborare, attivandosi e dando il meglio di sé. Vediamo come. Per ciò che concerne gli operatori privati lo stimolo a dare il meglio è realizzabile attraverso il monitoraggio dei risultati e una forte premialità per chi li ottiene, che tenga possibilmente conto del grado di svantaggio colmato e della rapidità nel conseguimento della nuova occupazione.
L’aspirante lavoratore, dal canto suo, è condotto a dare il meglio di sé – con una non trascurabile valenza persino di tipo psicologico ed educativo – se gli viene chiesto di impegnare proprie risorse personali, tempo e volontà su tutte, nell’aderire effettivamente a quanto proposto in termini di formazione e ricerca di opportunità e se vengono precisamente regolamentate le fattispecie secondo le quali è eventualmente possibile rifiutare opportunità professionali, pena il decadimento della presa in carico della persona da parte degli operatori preposti.
Da ultimo, ma non per questo meno importanti, le imprese. Anch’esse, infatti, è bene che vengano responsabilizzate in caso di crisi – già nella fase di analisi delle soluzioni possibili – e orientate all’attivazione di eventuali misure di outplacement, attraverso una chiara corresponsabilità negli oneri finanziari correlati, che si realizzi coinvolgendo eventualmente i rispettivi fondi interprofessionali.
In sintesi: tutto ciò che è possibile e opportuno per ottenere “placement” va fatto, presto e bene. Da questo punto di vista, il contratto di somministrazione si pone come lo strumento migliore: permette, infatti, di dare risposta rapida ed efficace ai bisogni del lavoratore e dell’impresa, realizzando tutta la buona flessibilità di cui l’azienda ha necessità e offrendo nel contempo alla persona un’esperienza di lavoro tutelato, capace di accrescerne l’impiegabilità e garantire continuità di opportunità professionali. Tra l’altro, la logica dell’Aspi, con la sua maturazione in relazione ai mesi di lavoro effettuati, fa di questo contratto uno strumento davvero prezioso poiché i periodi di lavoro, quand’anche discontinui, aiutano le persone a realizzare la contribuzione che darà loro diritto all’ottenimento dell’Aspi.
In Lombardia, forse la Regione più avanzata in questo cammino, occorre invece proseguire con decisione sulla strada maestra della premialità a obiettivo occupazionale raggiunto. Solo così, tutti insieme, potremo ripartire, generando nuovo valore.