La vulgata comune ha, sin qui, suggerito che se una riforma è pessima, meglio lasciarla così com’è. Modificarla, probabilmente, peggiorerebbe la situazione. Nel caso della riforma del Lavoro firmata dall’ex ministro Fornero, il tabù è stato infranto. Enrico Giovannini, neotitolare del welfare, si è detto convinto del fatto che quella legge avrebbe anche potuto sortire effetti positivi se solo fosse stata emanata in tempi di crescita. Un particolare non da poco. Dal canto suo, il premier Letta, durante il suo discorso programmatico, ha individuato alcuni punti da correggere: «Semplificheremo e rafforzeremo l’apprendistato, che ha dato buoni risultati in paesi vicini. Un aiuto può venire da modifiche alla legge 92/2012, quali suggerite dalla Commissione dei saggi istituita dal presidente della Repubblica, che riducano le restrizioni al contratto a termine, finché dura l’emergenza economica». Abbiamo chiesto a Giuliano Cazzola, esperto di Welfare e tematiche del lavoro, come dovrebbe agire il nuovo ministro.



Anzitutto, è lecito modificare la riforma o si rischia di peggiorare la situazione?

In questo quadro politico, ma solo in questo quadro politico, connotato, cioè, da un afflato riformista, si può modificare. Se venisse modificata, invece, da un governo tragato Bersani-Grillo, si produrrebbe un disastro.

Giovannini ha spiegato che la riforma è «stata disegnata in modo molto coerente per una economia in crescita, ma può avere problemi per una economia in recessione». E’ d’accordo?



Direi di sì. La stabilizzazione del lavoro va fatta in periodo di crescita, quando la domanda cui non si riesce a dare risposta non è elevata come in questa fase. La riforma, in ogni caso, si intitola: ”Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita“. Non è un caso che buona parte delle norme in essa contenute, specie quelle che riguardano la flessibilità in entrata, non sarebbero entrate in vigore subito, ma dal 2013. La Fornero, infatti, non pensava che la crisi sarebbe durata così a lungo.

Che cosa, in particolare, non andava introdotto in tempi di recessione?



La nuova normativa sui rapporti di lavoro flessibili ha notevolmente appesantito i vincoli su tali rapporti al punto da rendere problematica l’assunzione. In linea generale, non si è tenuto conto del fatto che modificare l’intera normativa, per le imprese, risulta particolarmente controproducente perché devono avere il tempo per adeguarsi alle nuove regole e per conoscerle. Come se non bastasse, in questo caso si è moltiplicata la quantità di norme ed è stato emanato un pacchetto ricco di sanzioni. Sgarrare, per l’azienda, significa trovarsi in casa degli occupati a tempo indeterminato. L’appesantimento in entrata, infine, è stato del tutto sproporzionato rispetto al piccolo passo in avanti fatto rispetto alla flessibilità in uscita.

 

Enrico Letta ha detto che intende rafforzare l’apprendistato. In che termini dovrà essere modificato per produrre benefici?

 Anzitutto, occorre centralizzare le regole. Lasciare l’apprendistato alla discrezionalità della legislazione regionale significa avere regole diverse in ogni Regione o Regioni in cui le regole non esistono affatto perché non sono in grado di darsele. Inoltre, vi sono dei vincoli che vanno rimossi, come quello che impone la stabilizzazione della metà degli apprendisti per assumerne di nuovi: un provvedimento che fa cadere dalla padella nella brace, e allontana dall’obiettivo.

 

Letta ha parlato anche della riduzione delle restrizioni dei contrati a termine.

 Il periodo che deve intercorre tra la scadenza di un contratto a termine e la stipula di un altro è francamente assurdo,  e va notevolmente ridotto se non, addirittura, rimosso. Inoltre, occorre allungare il limite di 12 mesi entro cui non è necessario indicare una causale per i contratti a termine.

 

Quali altri provvedimenti dovrebbe prendere in considerazione il ministro?

 Il ministro del Lavoro, dopo aver concordato un quadro di obiettivi con le Parti sociali e i consulenti del lavoro, dovrebbe incaricarli di sottoscrivere un avviso comune in cui avanzare delle proposte concrete.

 

(Paolo Nessi)