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La mancanza di solidarietà intergenerazionale ha purtroppo caratterizzato l’ultimo ventennio italiano. Un Sistema, il nostro, che ha insistito molto sul debito pubblico – giustificato in questo dallo stream internazionale, che ha trovato nell’aumento del debito, perlopiù privato, la bacchetta magica per far crescere l’economia in modo tanto artificioso quanto accattivante – finendo così per generare benefici nel presente e lasciare tutti i detriti sulle spalle delle generazioni future. Il che è indice, tra l’altro, di un grave decadimento della nostra civiltà.
Per comprendere il vero livello della questione ora in gioco basta forse ricordarsi che per i nostri nonni, se non ancora per i nostri padri, era invece molto ben chiaro che è solo attraverso l’efficacia del proprio lavoro che si può davvero costruire un mondo migliore per sé e per i propri figli; e questa prospettiva conferiva loro una dignità e una forza straordinarie! Una volta per tutte occorre dunque oggi chiedersi se la perdita di questa decisiva percezione della realtà sia stata davvero ricompensata da una vita trascorsa nell’ubriacatura di un’apparente ricchezza di breve termine. Sembra proprio che questa logica del “tutto e subito”, questa mancanza di disponibilità ad accettare la fatica dell’investimento presente per un più grande bene futuro, costituisca infatti ormai il tratto distintivo di un certo tipo di cultura che, purtroppo, si è fortemente radicata nel nostro Paese.
Proprio questa logica perversa è, a nostro avviso, alla base della drammatica esplosione del debito pubblico in Italia. Debito che le generazioni future ben difficilmente saranno in grado di ripagare e che ha condotto innanzitutto noi, che ne abbiamo beneficiato, a illuderci amaramente di essere capaci di produrre vera ricchezza. Ma non basta: la stessa logica si pone all’origine delle leggi sul lavoro che ancora oggi tutelano in modo perfino eccessivo chi si trova all’interno del mercato del lavoro, mentre tende a non supportare affatto chi vi deve ancora entrare: nella maggior parte dei casi – e questo è ormai da tempo sotto gli occhi di tutti – penalizzando gravemente innanzitutto i nostri giovani!
Questi esempi, come si diceva, segnalano chiaramente un grave problema culturale. Ma, fortunatamente, negli ultimi tempi sono giunti alcuni segnali che vanno in una direzione diversa, contraddicendo alla radice questo modo di agire e mettendolo così, finalmente, in forte discussione. In questo senso va infatti ad esempio letta, secondo noi, la volontà di salvaguardare la nostra appartenenza all’Unione europea, pur accettandone i conseguenti – e rilevanti – sacrifici che, purtroppo, dureranno ancora a lungo.
Sempre in questo senso va letta la storica e indispensabile riforma delle pensioni dell’ex ministro Fornero che, introducendo il sistema contributivo, evita che nel presente vengano consumate anche le risorse spettanti al futuro. E, ancora, su questa falsariga va a nostro avviso letta la discussione su come incentivare nel breve termine una collaborazione lavorativa tra generazioni: sia nel senso di giungere a determinare meccanismi di sostituzione professionale convenienti per tutti, sia quanto allo sviluppo di azioni volte a valorizzare l’esperienza acquisita dai meno giovani, così che possa essere utilmente trasmessa alle nuove generazioni.
A ben vedere, del resto, la possibilità di muovere da una crescita virtuale – fondata sul debito – a una crescita reale, capace cioè di costruire condizioni migliori sia per il presente che per il futuro, non può che passare dalla capacità del nostro Sistema di tornare a investire e generare nuovo valore attraverso i nostri giovani, rendendoli i veri protagonisti del loro – e nostro – futuro. Interventi come questi non si limitano inoltre a essere positivi in sé, ma costituiscono innanzitutto importanti segnali: permettono, infatti, di intravedere lo spiraglio per una nuova e più adeguata educazione personale e sociale.