Risoluto il presidente Giorgio Napolitano: “Viviamo nel contesto di una crisi angosciante e drammatica che impone alle istituzioni, alle forze sociali e alle imprese la messa in atto di efficaci soluzioni per rilanciare l’occupazione e lo sviluppo economico e sociale del Paese”. Papa Francesco non si sottrae: “Fare ogni sforzo per dare nuovo slancio all’occupazione perché questo significa preoccuparsi della dignità delle persone”. Ci mette del suo il cardinale Bagnasco: “Il lavoro è la prima emergenza dell’ Italia, la lama più dolorosa nella carne della gente”. Al telefono con Letta pure Obama si è detto pienamente d’accordo circa l’esigenza di prestare attenzione prioritaria alle politiche volte a fronteggiare la disoccupazione.



L’allarme che risuona nelle parole dei Nostri si mostra nei dati dello studio Ires-Cgil sulla base di dati Istat. Nel quarto trimestre 2012 l’area della sofferenza e quella del disagio occupazionale, nel complesso, sommano 8 milioni e 750mila persone in età da lavoro (+10,3% sullo stesso periodo del 2011 con 818mila persone in più in difficoltà). Rispetto all’ultimo trimestre del 2007, l’area è cresciuta di 2,8 milioni di persone con un 47,4% in più. L’area della sofferenza occupazionale (disoccupati, scoraggiati e cassa integrati) aumenta di 650mila unità (+16,6%), arrivando a quota 4 milioni 570mila persone. L’aumento rispetto al periodo pre-crisi (ultimo trimestre 2007) è di 1,9 milioni di persone (+70,1%). L’area del disagio (precari e part-time involontario), pari nell’ultimo trimestre 2012 a 4 milioni e 175 mila unità, aumenta del 4,2% (+168.000 persone) e del 28,6% rispetto allo stesso trimestre del 2007 (+927.000 unità).



Già, Lor Signori ne hanno ben donde nel dire quel che dicono. La mancanza di occupazione genera angoscia, dramma; priva della dignità, infligge dolore. Chiamare a rapporto istituzioni, forze sociali e imprese è un dovere istituzionale, rispondere un obbligo. Alle istituzioni, per quel che possono, toccherà dare regole al lavoro. Già, solo regole, non disponendo di strumenti efficaci per regolare i processi economici, non dispongono lavoro.

Le forze sociali sembrano volersi accordare anzi associare; di più, capitale e lavoro sono a un passo da un patto, quello tra i produttori. Ci sta dentro chi produce l’eccesso di offerta e chi per quell’eccesso lavora: l’unione di due debolezze non fa una forza. Le imprese, pur esse in mezzo al guado, per continuare a fornire occupazione ai dipendenti dipendono dai redditi sufficienti di quelli che fanno la spesa per acquistare quel che da dipendenti hanno prodotto. Altrimenti…



Altrimenti accade quel per cui siamo qui a lagnarci. Già, il problema sta tutto dentro la circolarità di questo processo: ci saranno occupati che lavoreranno per produrre se ci sarà gente occupata a spendere per acquistare quanto è stato prodotto e poi occupati ancora a consumare l’acquistato.

Perché questo avvenga occorre disporre una più idonea allocazione della ricchezza che quel processo genera. Idonea, appunto, a ripristinare l’equilibrio tra reddito e spesa. Già, perché la crescita si fa con la spesa, la spesa con il reddito. Quello stesso reddito buono per generare pure occupazione: cose dell’altro mondo!