La riforma delle pensioni targata Elsa Fornero sarà, a sua volta, riformata. Non si tratterà di modifiche sconvolgenti, ma quanto basta per sanare alcuni errori clamorosi e porre rimedio a certe iniquità. Tanto per cominciare, si potrà accedere al regime previdenziale, se le ipotesi di Letta e Giovannini andranno in porto, entro un range stabilito. Andare prima comporterà delle penalizzazioni sull’assegno, dopo dei vantaggi. Questo eviterà l’obbligo indiscriminato per tutti di non poter lasciare il lavoro prima dei 66 anni (la riforma, tuttavia, prevede, una volta andata a regime, che con il passare degli anni la soglia di accesso venga elevata sulla base dell’aumento delle aspettative di vita media). Altra ipotesi allo studio è quella della staffetta generazionale: il lavoratore anziano accetta un part time e, in cambio, l’azienda assume un giovane. Tiziano Treu, ex ministro del lavoro, ci spiega se queste opzioni siano effettivamente percorribili.
Anzitutto, lei è favorevole al mettere mano alla disciplina?
In linea di massima, non è lecito, ogni volta che cambia un governo, disfare la riforma precedente. In questo caso, tuttavia, si parla di modifiche ragionevoli. Se si preserva la tendenza all’innalzamento dell’età pensionabile, ma, contestualmente, si concedono forme di flessibilità non dovrebbero esserci problemi. D’altro canto, l’eccessivo scalone prodotto dalla riforma Fornero non è neppure in linea con le indicazioni europee.
All’epoca, fu la Ragioneria generale dello Stato a opporsi alla flessibilità, ritenendo che il sistema nel suo complesso non sarebbe stato finanziariamente sostenibile.
A dire il vero, è sufficiente fare i calcoli attuariali come si deve. Non dimentichiamo che la riforma ha prodotto una risparmio enorme. La flessibilità, al limite, lo ridurrà. Ciò non significa che lo estinguerà. Vuol dire che il sistema è sostenibile. Oltretutto, con le norme europee più recenti, non è più necessario prevedere la copertura specifica di ogni singolo provvedimento, ma è sufficiente una valutazione generale dell’equilibrio di bilancio. Si tratta di un processo egualmente valido dal punto di vista economico, ma meno ottusamente vincolante. Da questo punto di vista, quindi, anche la Ragioneria dovrebbe fare meno storie.
Cosa suggerisce, invece, per sanare la questione degli esodati?
A dire il vero, da qui alla fine dell’anno prossimo, salvo eccezioni e casi anomali, non si prevede che alcun esodato resti a piedi. Anche dopo la fine 2014, presumibilmente saranno pochi. Dobbiamo distinguere, infatti, tra quelli che sono andati in pensione prima del 31 dicembre 2012 e che sono rimasti senza reddito da pensione e da lavoro perché sono state cambiate loro le regole in corsa, e quelli che, successivamente a quella data, sono rimasti senza lavoro. I primi sono stati derogati, perché avevano ricevuto delle garanzie che la nuova normativa rischiava di invalidare. I secondi, invece, sono a tutti gli effetti disoccupati. Sarà, quindi, necessario per costoro implementare misure di ammortizzazione sociale più efficaci.
Cosa ne pensa, invece, della staffetta generazionale?
Anzitutto, dobbiamo considerare che la staffetta non crea occupazione, ma la ridistribuisce. Si tratta di uno strumento di solidarietà intergenerazionale. Detto questo, può risultare molto utile. Un anziano, infatti, può avere piacere di ridurre gradualmente il suo impegno lavorativo, invece che essere obbligato a restare full time. L’azienda, dal canto suo, avrà costi minori, è sarà facilita nell’assunzione di giovani. Come gli esperimenti passati hanno dimostrato, sarà opportuno evitare troppi vincoli: non si può imporre, per esempio, in maniera fiscale, l’assunzione di un giovane per ogni lavoratore anziano che si riduce lo stipendio, né di compiere le due operazioni sempre e soltanto contemporaneamente.
Non crede che la staffetta risulterà troppo onerosa? Posto che il lavoratore anziano accetti il part-time e, quindi, metà retribuzione, bisognerà pur sempre pagargli interamente in contributi.
Non è detto. Molto dipende dal tipo di carriera che il lavoratore ha avuto o da quanto si possa permettere di rinunciare a parte della sua pensione. In certi casi, poi, una quota dei contributi mancanti potrà essere versata dallo Stato, un’altra dall’azienda e un’altra ancora, eventualmente, potrà essere integrata dal lavoratore stesso. A conti fatti, ciascun pensionando potrà decidere se gli converrà o meno.
(Paolo Nessi)