La vicenda degli esodati è più complicata del previsto. Il governo Monti, con tre successivi provvedimenti, ha salvaguardato circa 130mila persone che, per gli effetti dell’inasprimento repentino dei requisiti di accesso al regime previdenziale, rischiavano di restare senza reddito da lavoro o da pensione. Il governo Letta, dal canto suo, si è impegnato a consentire di andare in pensione con le regole precedenti alla riforma tutti quelli che ancora rischiano di trovarsi in simili condizioni. Dimenticandosi, tuttavia, di una particolare categoria: quelli dei postali esodati. Giorgio Basso, rappresentante dei postali esodati del Veneto, ci illustra la questione.



Pare che la questione degli esodati non sia stata interamente risolta.

Sembrava che questo governo si sarebbe degnato di porvi rimedio, ma, in realtà, siamo ancora nella stessa situazione in cui ci trovavamo ai tempi del governo Monti: gli esodati postali hanno firmato un licenziameno consensuale con l’azienda, di fronte a Confindustria, prima della riforma Fornero. Dopo poco più di un anno, al ministro Fornero è stato comunicato dalle Poste che tutti i suoi esodati rientravano nelle deroghe previste, perché avevano sottoscritto l’accordo prima del 31 dicembre 2011. Sarebbero dovuti essere, quindi, tutti salvaguardati.



Poi cos’è successo?

Agli esodati veri e propri, ovvero persone che avevano sottoscritto un accordo di fuoriuscita dal rapporto di lavoro anticipato, in cambio di un congruo indennizzo per sopravvivere fino all’età pensionistica, si sono aggiunte molte altre categorie: cessati, mobilitati, afferenti a fondi di solidarietà, contributori volontari e via dicendo. A quel punto, il governo ha stabilito per gli esodati postali una clausola vessatoria.

Quale?

Sarebbero stati derogati esclusivamente quegli esodati che avessero raggiunto effettivamente l’età pensionabile prima del 31 dicembre 2014. Tutti quelli che l’avessero raggiunta più tardi sarebbero rimasti fuori.



Questo, cosa implica?

Poniamo il caso di un lavoratore che abbia sottoscritto l’accordo prima del limite stabilito dalla Fornero (31/12/2011), e che questo maturi i requisiti per l’età pensionabile, secondo il vecchio sistema, il primo dicembre del 2012. Se sommiamo un anno di finestra previdenziale, più tre-quattro mesi di aspettativa, si ritroverebbe andare in pensione dopo il 31 dicembre 2014. Solo allora avrebbe maturato effettivamente i requisiti. Non sarebbe salvaguardato. Per quale motivo? E’ evidente che la procedura è altamente iniqua e rovinerà la vita a migliaia di persone. Come se non bastasse, a questa incertezza si aggiungono degli oneri, per molti, insostenibili.

 

A che cosa si riferisce?

Molti di noi hanno ricevuto dall’Inps i bollettini con gli importi da versare per i contributi relativi agli anni mancanti al raggiungimento della pensione. Contributi che, stante il regime delle quote, non avremmo dovuto pagare. Per alcuni, si tratta di cifre piuttosto elevate: anche 20-30mila euro. Ora, si dà il caso, anzitutto, che tali bollettini vanno pagati entro il 30/06/2013. Una data estremamente ravvicinata, che ci crea parecchi problemi.

 

Anche coloro che, in virtù del limite del 31/12/2014, non saranno salvaguardati, dovranno comunque versare l’importo?

Questo è il problema più rilevante: per queste persone stiamo chiedendo con forza, al presidente della Repubblica, al premier, al ministro del Lavoro, e al presidente e al direttore generale dell’Inps, di rimuovere tale limite, non essendo giustificato da alcunché. Tuttavia, anche chi, per ora, vi deve sottostare, si trova costretto a versare l’importo. Senza sapere se sarà, in futuro, derogato. E senza sapere, laddove non ottenesse le deroghe, se otterrà indietro quei soldi. 

 

(Paolo Nessi)