Per risolvere la questione relativa agli esodati, il governo Letta sembra ormai orientato a prendere seriamente in considerazione l’ipotesi della cosiddetta pensione flessibile, legata in particolare all’eventualità di un pensionamento anticipato. Lo stesso premier ha ribadito che questa sarà una delle maggiori priorità dell’esecutivo, aprendo dunque a “forme circoscritte di gradualizzazione del pensionamento, come l’accesso con 3-4 anni di anticipo al pensionamento con una penalizzazione proporzionale”. Come ha spiegato chiaramente il sottosegretario al Lavoro Carlo Dell’Aringa a “La Repubblica”, oggi è previsto per esempio che le donne lavoratrici possano andare in pensione prima dei 62 anni con una penalizzazione sul trattamento. Questo meccanismo potrebbe dunque essere esteso a tutti coloro che hanno perso il lavoro. “Bisogna prendere atto con realismo che con l’ultima riforma, ma pure con i provvedimenti precedenti, si è aperta una falla sociale spaventosa. E bisogna fare di tutto perché con gli anziani che rimangono di più al lavoro e con un’economia che non cresce, non ci sono opportunità di lavoro per i giovani”, ha detto Dell’Aringa. Sull’argomento è intervenuto, proprio su queste colonne, anche Pierpaolo Baretta, secondo cui un sistema flessibile “consentirebbe alla gestione personale o familiare un’auto-organizzazione della vita lavorativa e quindi anche di quella privata. La mia proposta è quella di creare una banda di oscillazione tra i 62/63 e i 70 anni, consentendo al singolo di decidere quando andarsene all’interno di questo range, pur mantenendo ferma ai 66 anni l’asticella della legge attuale. Per chi va via dopo, come prevede la legge, viene rivalutata la pensione, per chi va via prima c’è una penalizzazione”. Questo sistema, ha aggiunto Baretta, “consente di evitare che si ripetano problemi come quello degli esodati o come uno strappo eccessivo tra i 62 e i 66 anni, ma soprattutto di avere un’idea innovativa dei rapporti tra famiglia e lavoro e tra pensione e lavoro. Questo sistema è quindi molto più civile che non l’uscita rigida”. Anche secondo Guido Canavesi, docente di diritto del Lavoro presso l’Università degli studi di Macerata, “è del tutto  legittimo ragionare su un sistema che introduca la flessibilità. Anzi, siccome tra contribuiti e prestazioni si determinerebbe un sostanziale equilibrio, non si capisce perché chi va in pensione prima dovrebbe subire un disincentivo. I disincentivi, infatti, sono un fattore tipico dei sistemi retributivi, dove si riceve molto di più di quanto si è versato nel corso della propria vita lavorativa”.



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