Il numero di italiani che sono emigrati in Germania per lavoro è aumentato del 40% tra il 2011 e il 2012, superando le 42mila unità. E’ quanto emerge dagli ultimi dati di Destatis, l’istituto federale di statistica, secondo cui gli immigrati italiani superano quelli greci, in tutto 34mila, e quelli spagnoli, 30mila. Numeri di per sé non imponenti, anche se per il professor Luigi Campiglio si tratta di dati significativi in quanto la stragrande maggioranza di questi 42mila migranti italiani sono giovani a elevata qualificazione, che in Germania trovano un Paese con una disoccupazione più bassa, con un welfare migliore e con costi degli affitti più contenuti.
Professor Campiglio, fino a che punto l’emigrazione italiana verso la Germania è paragonabile a quella del Secondo dopoguerra?
E’ una situazione diversa e per certi versi paradossale. A differenza di quanto avveniva nel Secondo dopoguerra, oggi a emigrare dall’Italia sono soprattutto i giovani con elevata qualificazione. Nello stesso tempo il nostro Paese registra un flusso di immigrazione da parte di giovani extraeuropei con una qualificazione inferiore. Sono quindi remunerati con dei livelli di salario molto bassi, e con lavori non particolarmente qualificanti. Il paradosso del’Italia è che si tratta di un Paese i cui giovani sono pochi, eppure quelli con la qualificazione più elevata sono costretti ad andarsene.
Fino a che punto la Germania è in grado di offrire un’opportunità per i giovani italiani?
La Germania è un Paese con un tasso di disoccupazione di poco superiore al 5%. Per i cittadini tedeschi, stando almeno all’ultima indagine disponibile, il problema principale non è la mancanza di lavoro bensì l’inflazione. E ciò nonostante il fatto che l’inflazione tedesca sia la più bassa in Europa. Nella gerarchia delle preoccupazioni della dirigenza politica di Berlino, ma anche di gran parte dei cittadini, la disoccupazione non è un problema serio.
Quindi la Germania è disposta anche ad accogliere i giovani stranieri?
Sì, e i giovani italiani che si recano in Germania trovano offerte di lavoro migliori rispetto a quelle dell’Italia, soprattutto per quanto riguarda quelle a elevata qualificazione. La Germania è del resto il Paese dell’area euro che dalla nascita della moneta unica ha beneficiato di più della nuova situazione che si è creata.
In tutto sono 42mila gli italiani che si sono trasferiti in Germania. Come valuta questa cifra?
Il fatto che un giovane italiano accetti la sfida di trasferirsi da Milano a Francoforte di per sé non è un segnale negativo. Se anche la cifra di chi fa questa scelta raggiungesse le 100mila unità non vi troverei nulla di preoccupante. A condizione però che si ragioni in termini di una vera Unione europea, perché a quel punto diventa qualcosa di analogo a un giovane americano che si trasferisce da San Francisco a Seattle. Ci si muove nell’ambito di un’area comune e condivisa.
Quali altri vantaggi trova un giovane italiano che si reca in Germania?
In Germania il sistema di assistenza sociale è decisamente più efficiente, coprendo meglio settori come i giovani, la famiglia e la disoccupazione. Per non parlare del fatto che fino a pochi anni fa un appartamento a Berlino costava come un box a Milano. Dal momento che il fenomeno è diventato europeo, una quantità molto elevata di giovani non solo italiani si recano nella capitale tedesca. La Germania è un Paese vecchio, che attrae giovani di tutti i paesi, tutte le età e tutte le qualificazioni. Il mix è quindi molto più equilibrato rispetto all’immigrazione che arriva in Italia.
Se la Svizzera non avesse chiuso le frontiere con l’Italia, i giovani sceglierebbero Zurigo o Ginevra anziché Francoforte?
La Svizzera è un Paese molto più piccolo, e quindi un paragone con un Stato popoloso come la Germania regge solo fino a un certo punto. Il pendolarismo di lavoratori italiani verso la Svizzera, inoltre, è molto limitato. I cittadini elvetici si lamentano, ma se non ci fossero i lavoratori italiani transfrontalieri sarebbero loro i primi ad avere dei problemi.
(Pietro Vernizzi)