Finalmente, le commissioni si sono inseduate e sia il governo che il Parlamento sono, a questo punto, pienamente operativi. La discussione sulla modifica della riforma Fornero delle pensioni sta, pian piano, iniziando a definirsi. L’ipotesi di fondo prevede l’introduzione di un criterio di flessibilità che consenta di accedere al regime previdenziale anticipatamente rispetto alle soglie attuali in cambio di un assegno ridotto. Vale anche, ovviamente, il principio opposto: più tardi si esce dal lavoro e più sostanziosa sarà la rendita. La priorità, in ogni caso, restano gli esodati. Sono ancora centinaia di migliaia i lavoratori che, per effetto di un repentino innalzamento dei requisiti, si trovano senza reddito da pensione e da lavoro. Giorgio Airaudo, deputato di Sel in commissione Lavoro, ci spiega cosa ne pensa della proposta dell’esecutivo.
Il governo è intenzionato è introdurre una flessibilità che consenta di scegliere quando andare in pensione entro un range compreso tra i 62 e i 70 anni, sulla base di incentivi e disincentivi. Lei è d’accordo con questa impostazione?
Abbiamo la disciplina più rigida d’Europa. La riforma ha determinato un inasprimento dei requisiti brutale allo scopo esclusivo di consentire al governo di utilizzare le pensioni degli italiani come un bancomat. Con l’abolizione delle pensioni di anzianità, inoltre, si sono aggiunti ai giovani in cerca di lavoro i cinquantenni in cerca di lavoro. Fatto il guaio, quindi, la flessibilità rappresenterebbe una semplice toppa. Servirebbe, invece, una revisione complessiva, volta ad abbassare l’età di pensionamento. Sarà necessario, infine, avere il coraggio di aprire finalmente una discussione sulle differenti tipologie di lavoro.
Cosa intende?
Non è vero che tutti possano andare in pensione alla stessa età a prescinder dai lavori che hanno svolto. Stare alla catena di montaggio, fare il muratore o la maestra d’asilo non è come fare il professore universitario o lavorare in un ufficio. Contestualmente, vanno reintrodotte le differenze di genere.
La questione dei lavori usuranti non era già stata adeguatamente affrontata quando in fase di definizione della riforma?
No. Nonostante la letteratura scientifica e gli studi della medicina del lavoro abbondino, una compilazione seria e dettagliata delle ripercussioni che i diversi lavori sortiscono sulle aspettative di vita non è mai stata fatta; di conseguenza, la disciplina pensionistica non ha mai tenuto conto della questione.
Tutto questo è finanziariamente sostenibile?
Esistono fondi in attivo, e altri che sono entrati nella gestione comune dell’Inps mentre erano in passivo. Credo, quindi, che la sostenibilità del sistema pensionistico si possa affrontare anche attraverso forme di solidarietà all’interno del sistema stesso. Per intenderci: andrebbe, anzitutto, posto un tetto alle pensioni alte. Sono convinto, inoltre, che se venisse chiesto ai lavoratori di contribuire al mantenimento di un sistema pubblico universale che garantisse la coperture rispetto al lavoro che si è fatto ci sarebbe grande consenso. La gente è disposta a pagare qualcosa in più se ha libertà d’uscita e se ha la certezza che ogni due anni la disciplina non venga cambiata.
Come va affrontata la questione degli esodati?
Non appena la commissione si è insediata, abbiamo indetto la riunione dei capigruppo, durante la quale abbiamo condiviso la necessità di affrontare la vicenda in maniera strutturale. Per procedere in tal senso, abbiamo chiesto all’Inps di dirci con esattezza quanti sono gli esodati e coloro che, a oggi, sono stati salvaguardati. La situazione, infatti, è attualmente ancora piuttosto confusa. Va detto che, da parte di tutti, è stata manifestata la volontà di individuare le risorse necessarie. Non è ancora chiaro, invece, se la maggioranza vorrà risolvere la questione definitivamente, e una vota per tutte, o con gradualità.
Lei cosa pensa?
Che la prima opzione sia la più equa. Stiamo parlando di persone a cui sono state cambiate le regole del gioco in corsa, e che hanno subito un’ingiustizia che va necessariamente sanata.
(Paolo Nessi)