“Le faccende umane si trovano, per unanime consenso , in uno stato deplorevole. Questa per altro non è una novità. Per quanto indietro si riesca a guardare, esse sono sempre state in uno stato deplorevole. Il pesante fardello di guai e miserie che gli esseri umani devono sopportare, sia come individui che come membri della società organizzata, è sostanzialmente il risultato del modo estremamente improbabile – oserei dire stupido – in cui la vita fu organizzata sin dai suoi inizi”. Questo è il ficcante inizio di un saggio straordinario pubblicato da Carlo Maria Cipolla nel 1988 intitolato “Allegro ma non troppo”. Si tratta di un piccolo libretto che non dovrebbe mancare nelle case di ognuno di noi perché sintetizza il nostro vivere comune attraverso cinque leggi fondamentali della stupidità umana che spiegano in modo semiserio (in realtà serissimo) come la deriva alla quale assistiamo quotidianamente sia il frutto della sottovalutazione che tutti noi facciamo  del problema. In particolare accende la riflessione sul tema dell’uguaglianza intesa, non come pari opportunità, ma come concezione dell’uomo stile “catena di montaggio, vale a dire frutto di una produzione seriale identica. Affermare che in natura esistono gli stupidi, così come esistono le persone con i capelli rossi oppure quelli mancini, vuol dire riconoscere e sottolineare il tema della differenza. E valorizzarlo.



È un ambito di discussione molto interessante da molti punti di vista, ma credo che oggi sia particolarmente attinente alla filosofia imperante all’interno delle grandi multinazionali, ma non solo, dove la rotazione dei ruoli sta portando ad un progressivo appiattimento delle professionalità. Ci troviamo dinanzi, infatti, ad una sempre maggiore de-specializzazione delle figure chiave (responsabile vendite, marketing, comunicazione, controlling, etc) all’insegna del fatto che il manager del futuro (?) deve sapere fare un po’ di tutto e sapersi muovere in modo multidisciplinare all’interno dell’azienda. Il timore legato all’estremizzazione di questo concetto (alcune rotazioni sono naturali e comprensibili, altre del tutto azzardate quando non addirittura insensate) è che si vada decisamente nella direzione, preoccupante, indicata da Cipolla: una società organizzata in modo improbabile, quando non stupido. In generale, sembra che si stiano uccidendo i talenti e le naturali inclinazioni delle persone ad eccellere in alcuni particolari ambiti, per poi essere normali, quando non deficitari, in altri. Si sta cercando di rendere orizzontale il sapere, evitando i picchi e i “fuoriclasse”. Come se la normalità fosse più tranquillizzante e comprensibile e il genio, l’innovazione considerati come pericolosi. Questo è un tema di grande attualità anche all’interno della scuola e della formazione in generale. La sensazione che ne deriva nel complesso è che si stia assistendo ad un livellamento, ma verso il basso, che si riflette poi nelle difficoltà economiche e politiche che sono sotto gli occhi di tutti. 



Per uscire dalla crisi, probabilmente è necessario un lavoro che, partendo dalla scuola dell’infanzia, torni a valorizzare i talenti e a incentivare le passioni senza puntare in modo drastico all’omogeneità. L’Italia aveva una scuola elementare e media che la rendevano benchmark in tutto il mondo soltanto qualche anno fa. Ora quel patrimonio fatto di metodo, competenza, professionalità ed eccellenza si è normalizzato e ha perso il suo spunto. “Sono convinto”, scriveva qualche anno fa Seth Godin ne “La mucca viola”, che nella situazione attuale il marketing di massa non funzioni più. Abbiamo creato un mondo nel quale i prodotti risultano per la maggior parte invisibili”. Ecco talvolta si ha il sospetto che questo avvenga anche per gli uomini e che questo approccio si rifletta naturalmente anche su quello che gli uomini fanno.



Per dirla in breve, una politica di compromesso che cerchi di accontentare tutti è come, parafrasando ancora Seth Godin, il gelato alla vaniglia: è banale e non si può fondare il futuro su un’idea banale. Ci sono tanti settori e tante aziende che sono in crisi, in Italia e in Europa. Molto spesso parliamo della delocalizzazione della produzione in paesi dove il costo del lavoro è più basso o dove le aziende hanno più facilitazioni. Forse se ricominciassimo a valorizzare le idee buone, a non aver paura delle differenze e anzi a valorizzarle, sapremmo riconoscere in modo più efficace gli stupidi, ma soprattutto i tanti talenti che ci sono in giro. E le aziende sarebbero disposte a tornare indietro (alcune lo stanno già facendo). Non possiamo permetterci di costruire un mondo mediocre per i nostri figli.