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È davvero difficile dar torto a chi – come l’ex ministro del lavoro Maurizio Sacconi – afferma che l’elevata possibilità di esclusione dei giovani dal mercato del lavoro italiano “rappresenta un’autentica emergenza, quale conseguenza del disastro educativo che si è prodotto a partire dagli anni Settanta”. Basta in effetti osservare, da un lato, quanto la società odierna sia disinteressata a seminare per costruire un futuro per i giovani e, dall’altro, constatare amaramente come ai nostri ragazzi manchi spesso quella sicurezza di fondo che – sola – permette di esprimere in termini positivi una certa baldanza, voglia di avventura e confidenza nel rischiare, tipiche proprio di quest’età, per rendersi conto che siamo di fronte a un gravissimo problema educativo. Che coinvolge, oltre ai giovani, famiglie d’origine, sistema scolastico e universitario, imprese.
A parere di chi scrive sembra infatti che la prima voragine si apra proprio in ambito familiare: adulti confusi, poveri di ragioni, e – ancor più – famiglie disgregate, che proprio per questo finiscono col non facilitare nei giovani la creazione di quel fondamentale e intimo senso di sicurezza che solo l’unità, anche molto semplice, tra genitori è in grado di infondere loro. Ma la generazione di coloro che si avvicinano oggi al mondo del lavoro sconta spesso non solo il limite di aver avuto genitori in difficoltà, ma anche la sfortuna di aver sovente incontrato maestri e scuole molto deboli.
Lasciati soli nelle scelte educative da genitori spesso distratti e talvolta troppo occupati con se stessi, i nostri giovani finiscono per essere disorientati da un’offerta educativa frammentata e da un’istruzione non qualificata, sia per mancanza di competenze sia perché separata – nella sua stessa concezione – dal mondo del lavoro. Il sistema scolastico e universitario appare infatti sempre più interessato a garantire posti di lavoro ai propri docenti e sempre meno interessato alle esigenze del proprio cliente, sia – più semplicemente – per quanto riguarda il percorso professionale, sia, soprattutto, per ciò che concerne un adeguato cammino di crescita personale. È da tempo, in effetti, che le nostre scuole e università hanno purtroppo smesso di credere di poter aiutare degli uomini a diventare grandi, ma ora sono divenute anche totalmente autoreferenziali quanto ai contenuti che insegnano e, dunque, sempre più lontane da un efficace nesso col mondo del lavoro.
Come afferma il recente Rapporto-Proposta “Per il lavoro” della Cei, “il sistema educativo dovrebbe essere pertinente e in funzione del mercato del lavoro, occorrerebbe dunque raccogliere, analizzare e diffondere regolarmente dati attendibili e aggiornati sul mercato del lavoro […]. L’Italia, in particolare, necessita di approcci che siano integrati, e non di riforme emergenziali e sporadiche, ma quanto più possibile inserite in una strategia di lungo periodo”. E le imprese, invece, come operano in un tale contesto? Anch’esse, ahimè, investono sempre meno sui giovani, tendendo, al contrario, a sfruttarne il lavoro a basso costo, e contribuendo in tal modo, invece che a un progressivo sviluppo, alla desertificazione delle competenze, delle energie, delle motivazioni.
Cosa è dunque possibile fare per favorire un reale cambiamento, che non può certo nascere da sistemi tanto perfetti da non aver più bisogno della spinta del cuore dell’uomo, da cui – solo – nasce un’autentica responsabilità? Innanzitutto è fondamentale mantenere davanti agli occhi il vero punto critico senza ridurlo, scivolando nell’individuazione di ricette utili per “l’effetto annuncio”, ma che rimandano, tragicamente, ogni autentico tentativo di impegno col problema. Dobbiamo inoltre renderci conto che tutte le iniziative che oggi il Governo può attivare non possono divenire risolutive di per se stesse, ma al massimo – questo sì – orientare, facilitare, richiamare le persone a riprendere un percorso.
Ed è proprio questo aiuto alla messa in moto di sé che potremmo adottare come criterio fondamentale di valutazione per decidere cosa sia opportuno, prioritario e benefico intraprendere subito. Considerate le scarse risorse disponibili, la necessità di chiarire nei dettagli la direzione da intraprendere, l’inevitabile complessità legata al fatto che occorre far ripartire un intero sistema, è più che mai opportuno agire velocemente, mettendo in campo tentativi anche parziali, secondo la logica della sperimentazione che permette interventi immediati e la verifica di prospettive stabili, di lungo termine, sulla cui efficacia creare consenso per poi implementare, con metodo e determinazione, le soluzioni rivelatesi migliori.