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Diminuire le tasse sul lavoro in modo che le persone ricevano uno stipendio maggiore; far pagare meno tasse alle aziende che assumono; semplificare le norme sul lavoro; rendere la formazione scolastica e universitaria più allineata alle esigenze delle imprese. Quattro richieste che abbiamo sentito reiteratamente rivolgere alla politica italiana sia dall’Europa che, più di recente, dal Governatore della Banca d’Italia. Il quale, nell’appello svolto durante le Considerazioni finali dell’ultima assemblea ordinaria, ha voluto inoltre sottolineare con forza la necessità che le imprese facciamo uno “sforzo straordinario” su investimenti e innovazione, per tornare a generare valore ed essere competitive nel mondo.



Proposte che emergono, nell’ordine di priorità riportato, anche da una survey che Gi Group Academy – fondazione che si occupa di cultura del lavoro e del valore che esso riveste a livello di educazione personale e sociale – ha realizzato nei giorni scorsi, chiedendo a migliaia di persone sparse in tutto il nostro Paese che cosa occorresse secondo loro per far ripartire l’occupazione in Italia. Temi, dunque, improcrastinabili per il nostro Governo, che richiedono scelte forti e tempestive. Come chi scrive indica, da tempo, proprio da queste colonne.



Vediamo allora – oggi è più che mai necessario – quali sono, a nostro avviso, le priorità per far ripartire lo sviluppo, e dunque il lavoro, nel Paese. Occorre, innanzitutto, stabilire un criterio di fondo per la scelta delle azioni da compiere: incentivare solo ciò che genera valore e, proprio per questo, buona occupazione. Da questo punto di vista, quattro risultano essere le iniziative più importanti da perseguire.

La prima: ridurre il costo del lavoro. Abbattere il peso fiscale sul lavoro è infatti decisivo – anche se si dovesse spostarne temporaneamente altrove il peso economico – proprio perché il lavoro costituisce il punto di sintesi tra persona e azienda: un crocevia da cui dipendono caduta dei consumi, produttività e competitività, benessere delle persone, sviluppo delle imprese, tenuta sociale.



La seconda, fondamentale, priorità è sviluppare l’apprendistato per dare lavoro ai giovani, incentivando in tal modo il reciproco investimento tra i nostri ragazzi e le aziende, così da permettere la costruzione delle competenze professionali necessarie sia nel presente che nel futuro.

Terza priorità: sviluppare le politiche attive. Non solo, infatti, esse permettono di rispondere alla grave e immediata criticità di dare un reddito a chi non lo ha, facilitandolo a ritrovare un posto di lavoro, ma, contemporaneamente, sono in grado di costruire nuova, duratura, impiegabilità e, dunque, nuovo valore anche a medio e lungo termine.

La quarta priorità è quella di lavorare a favore della flexicurity. Non demolendo i paletti giustamente posti dalla Riforma Fornero alla cattiva flessibilità, ma, piuttosto, incentivando come positivo l’utilizzo di forme di buona flessibilità quali la somministrazione: giungendo ad esempio ad abolirne le causali, a far transitare su di essa tutte le esigenze di lavoro inferiori ai tre mesi e abrogando la contribuzione aggiuntiva Aspi dell’1,4%. E, per rendere più organico il funzionamento del mercato del lavoro, si potrebbero casomai chiarire ulteriormente le procedure per la flessibilità in uscita, con lo scopo di rendere più centrale – perché più attraente – il lavoro a tempo indeterminato.

Non ci saranno concesse ancora molte chances per riportare il Paese sulla “giusta via”: è giunta l’ora di percorrere, insieme e senza indugi, la strada dello sviluppo e della buona occupazione. Subito.

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