Ieri Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat, ha annunciato 700 milioni di interventi nello stabilimento di Atessa, dove si produce il Ducato, aggiungendo che questo rischia di essere l’ultimo investimento nel nostro Paese. “Tra 2004 e 2012 abbiamo investito in Italia 23,5 miliardi, e ricevuto agevolazioni per 742 milioni – ha dichiarato il manager italo-canadese. È assurdo dire che viviamo alle spalle dello Stato”. Del caso Fiat ormai si parla da anni e periodicamente i protagonisti ci regalano puntuali aggiornamenti, a tal punto che Giorgio Airaudo, oggi deputato di Sel, meno di una settimana fa, ha detto che “ci sono stati estremismi un po’ da tutte le parti”. Per dirlo lui, fino a febbraio ai vertici della Fiom, deve essere proprio vero…



In questi giorni il colpo di scena ce lo ha regalato la Consulta, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, 1° comma lett. b) della legge 300 del 1970 (il cosiddetto Statuto dei lavoratori), nella parte in cui non prevede che la Rappresentanza sindacale aziendale sia costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda. Ciò di fatto ha finito per dar ragione al ricorso della Fiom-Cgil contro la Fiat. L’articolo 19 della legge 300 fu modificato da un referendum nel 1995; fino a quel momento, riconosceva la possibilità di rappresentare i lavoratori solo ai sindacati “maggiormente rappresentativi” o a quelli firmatari di accordi collettivi. La vittoria del “sì”, abrogando il primo passaggio, tolse a Cgil, Cisl e Uil il diritto di essere i principali interlocutori delle varie aziende aprendo le porte delle relazioni industriali a tutti i sindacati, purché però firmatari di accordi.



«Tra i promotori del referendum del 1995 c’era proprio la Fiom». Sono queste le prime parole che Raffaele Bonanni, Segretario generale della Cisl, ci rivolge in questa intervista. «Sento discorsi davvero stupidi, in base ai quali si riporterebbero lo statuto e la democrazia nelle fabbriche: allora 18 anni fa la Fiom ha escluso la democrazia dalle fabbriche! Si usa la parola libertà a sproposito, contando sulla mancanza di memoria che contraddistingue questo Paese. C’è in realtà un atteggiamento molto spregiudicato di qualcuno. Allora Cisl e Uil furono contrarie a quel referendum. Cos’è cambiato in questi 18 anni al punto tale da far cambiare così radicalmente la Fiom?».



E cosa pensa della sentenza della Consulta?

Siamo molto perplessi dalle decisioni della Consulta. Chissà perché la norma è stata costituzionale per 18 anni, ora non lo è più… C’è un qualcosa che non va, non solo nella valutazione in sé, ma anche perché la Consulta pronuncia una sentenza senza preoccuparsi del danno che può fare all’autonomia delle Parti sociali. Leggeremo ora le motivazioni tecniche del dispositivo. Ma la magistratura non può né supplire alla politica, né sostituirsi a essa: questo è un grave danno per la vita democratica, ma anche economica di questo Paese. Sembra quasi che le massime autorità istituzionali non sappiano da dove viene la ricchezza, e questo significa che siamo in un atteggiamento di pieno conservatorismo.

La presidente della Camera, Laura Boldrini, ha rifiutato l’invito di Marchionne a visitare lo stabilimento in Val di Sangro…

Penso che la Presidente Boldrini ha perso una grande occasione. Dovrebbe preoccuparsi lei stessa dell’accaduto, perché con la sua scelta di parte ha squalificato la sua funzione e l’istituzione che rappresenta, forse in modo irrimediabile.

 

La preoccupa “l’ultimatum” lanciato ieri da Marchionne?

Marchionne fa il suo mestiere e pretende giustamente che ci sia certezza negli accordi per fare gli investimenti in altri stabilimenti come Mirafiori e Cassino. E noi siamo pronti a discutere con la Fiat cosi come abbiamo fatto a Pomigliano, a Grugliasco, a Melfi e ad Atessa. Quanto al problema della rappresentanza e della Fiom, dobbiamo partire dall’accordo interconfederale siglato con Confindustria. La minoranza deve rispettare le scelte delle maggioranza.

 

Cambiando discorso e riprendendo quanto da lei dichiarato in occasione del congresso che l’ha riconfermata alla guida della Cisl, nessuno “shock fiscale” per l’economia reale dal “pacchetto lavoro”. Cosa ne pensa?

È un provvedimento positivo, ma si tratta di un’iniziativa parziale, come abbiamo detto prima del Consiglio dei ministri, il quale pare interessato ad affrontare il problema fiscale dopo la pausa estiva. È l’unico modo questo per ridare tono ai consumi, e il Consiglio – con cui ci siamo incontrati circa 10 giorni fa – mi sembra orientato a sfruttare quella che di fatto è l’unica possibilità che abbiamo: la situazione economica non può poggiare affatto su possibilità finanziarie pronte, quindi bisogna lavorare sul fisco e sulla riduzione della spesa.

 

In generale, che tipo di effetti positivi può avere il “pacchetto lavoro” sull’occupazione nel breve/medio termine?

È un segno di attenzione ai giovani. Ma l’occupazione è prodotta esclusivamente da una buona economia. Ecco perché diciamo da tempo che occuparsi di economia significa occuparsi di occupazione, di stabilità degli attuali posti di lavoro, ma anche di assorbimento della disoccupazione che abbiamo, in particolare quella giovanile. Si tratta di un timido segnale, che dice che il governo è interessato a sostenere i giovani, però l’occupazione deriva da una buona economia. E una buona economia è prodotta da un’energia che costa meno, da infrastrutture funzionanti, da tasse minori, da pubbliche amministrazioni che funzionano, da mafie che spariscono, da istituzioni meno costose e meno ridondanti. Di questo ho scritto domenica sulCorriere della Sera: la magistratura non può continuare a supplire alle carenze della politica.

 

Intanto arrivano 1,5 miliardi dall’Europa per i giovani: lei come li investirebbe?

Utilizzerei questo fondo per la riduzione delle tasse. Si tratta inoltre di denari che potrebbero essere recuperati dalla riduzione della spesa di istituzioni e amministrazioni, togliendo agevolazioni e detrazioni a cose che non hanno alcuna finalità sociale. Questa è la possibilità per noi di fare economia oggi.

 

Ma linee del programma Youth Guarantee che prevedono con questi denari di incentivare il lavoro dei centri per l’impiego, possono funzionare in Italia?

I centri per l’impiego possono agevolare ciò che esiste, non creano occupazione. Possono far scorrere meglio i tempi di ricerca per le aziende di persone che a queste servono. Ma se non c’è il lavoro, cercare serve a poco. C’è anche da dire che i centri per l’impiego devono essere sostenuti dalle agenzie private, affinché il collocamento sia irrorato con la realtà produttiva.

 

(Giuseppe Sabella)

 

In collaborazione con www.think-in.it


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