Realizzata in fretta e furia sotto la minaccia (in gran parte immotivata e irrazionale) del default e per soddisfare in tempi rapidi gli imperativi europei, la riforma delle pensioni si è lasciata dietro le rovine di un sistema; certo, dovevamo innalzare l’età pensionabile. Ma non così bruscamente. Ora, senza bisogno di archiviarla tour court, è possibile tenere ciò che c’è di buono della disciplina, correggendone gli errori più vistosi. L’idea principale consiste nell’introdurre un meccanismo di flessibilità che consenta ai lavoratori di scegliere quando andare in pensione entro una forbice compresa tra i 62 e i 70 anni. Considerando che 66 anni è la soglia minima attualmente prevista, la proposta che va per la maggiore, quella di Cesare Damiano, suggerisce di decurtare il 2% dell’assegno previdenziale per ogni anno di anticipo, e di maggiorarlo della medesima percentuale per ogni anno di ritardo. Tiziano Treu, professore di Diritto del Lavoro all’Università cattolica di Milano, già ministro del Lavoro, spiega che direzione dovrebbe assumere il governo.
Cosa nel pensa, anzitutto, del fatto che le modifiche alla riforma sono state spostate e dopo l’estate, nonostante Enrico Letta ne avesse parlato già nel suo discorso di insediamento?
No, guardi, non si tratta di un rinvio. I provvedimenti di modifica alla legge Fornero sono sempre stati all’ordine del giorno, ma non sono mai stati considerati urgenti. Lo stesso ministro Giovannini ha fatto più volte presente che sarebbero stati affrontati a settembre.
Lei non li ritiene urgenti?
Direi proprio di no. Cambiare la legge rappresenta un’operazione giusta, ma farlo a luglio o a ottobre non cambia nulla.
Neanche sul fronte degli esodati?
No, perché il problema, eventualmente, emergerà alla fine dell’anno prossimo. Solo allora sapremo se ci sarà ancora qualche persona rimasta fuori dalle salvaguardie previste per chi è rimato senza reddito da pensione e da lavoro a causa del cambiamento della disciplina successivo alla firma di un accordo di fuoriuscita dal lavoro con determinate regole. Ebbene, per tutelare costoro, è sufficiente un provvedimento in autunno.
Un provvedimento di che genere?
La flessibilità viene considerata il metodo migliore non solo per modificare in senso positivo la struttura della legge Fornero, ma anche per tutelare i potenziali esodati. E’ piuttosto attesa anche dalle stesse aziende che disporrebbero di uno strumento per gestire in maniera più adeguata i lavoratori in uscita.
Come valuta la proposta di Damiano? Le penalizzazioni immaginate non rischiano di risultare eccessive per chi andrà in pensione con il contributivo pieno?
Va da sé che il contributivo prevede che chi lavora di più abbia un montante maggiore e, avendo un’aspettativa di vita minore, una pensione più alta. Chi lavora di meno, al contrario, avrà un importo più basso. Ciascuno, insomma, dovrà farsi i suoi conti. In ogni caso, non drammatizzerei. Chi riesce a fare una carriera normale, dopo 41 anni non avrà di certo una pensione bassa. Ecco, casomai, il problema è fare in modo che le persone riescano a svolgere una carriera con contributi e con una retribuzione congrui.
Quindi?
Considerando che i lavoratori di oggi, specialmente i giovani, si ritrovano non di rado a lavorare a intermittenza, con salari e contributi bassi, la priorità assoluta è, ovviamente, la crescita, senza la quale non c’è occupazione. Detto questo, sarà necessario implementare le politiche attive del lavoro, e potenziare quelle esistenti. I paesi europei più avanzati hanno servizi per l’impiego pubblici e privati efficienti, che traghettano con successo i giovani nel mondo del lavoro e li seguono quando rimangono senza. Altresì, occorre migliorare la formazione, sostenere l’orientamento, ed evitare il gap tra domanda e offerta.
In tal senso, come andrebbero rimodulati gli ammortizzatori sociali?
Finché parliamo di sei mesi di cassa integrazione, si tratta di un periodo normale e legittimo. Il problema è che in Italia abbiamo casse integrazioni in deroga che durano anni. Abbiamo speso troppo in politiche passivi (gli ammortizzatori sono tali) e troppo poco in politiche attive.
Cosa ne pensa, infine, dell’ipotesi di tassare i redditi (sia da lavoro che da pensione) superiori a 90mila euro così da poter superare le eccezioni della Consulta sul contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro?
E’ accettabile come misura straordinaria, una tantum, ma non risolverà il problema. Resta il fatto che chi ha un reddito alto può essere disposto a contribuire esclusivamente nel caso in cui i suoi soldi siano usati in maniera adeguata, e non finiscano nel calderone della spesa pubblica.
(Paolo Nessi)