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Basta con le ambiguità: non c’è più tempo. Occorre dirlo chiaramente: l’apprendistato – già nell’attuale configurazione – è uno strumento decisivo per l’occupazione giovanile. E non può essere confuso con un qualsiasi contratto di inserimento, il cui scopo sia di garantire all’azienda solo massima flessibilità e bassi costi. L’apprendistato, infatti, nasce proprio per orientare l’imprenditore a investire sulla formazione delle persone, in modo da indurre a un chiaro impegno entrambe le parti. È dunque ora di finirla con l’equivoco secondo cui dovrebbe essere più flessibile ed economico, come se si trattasse di uno strumento di puro avviamento lavorativo. Se è questo che si ritiene occorra per inserire proficuamente i nostri ragazzi nel mondo del lavoro, allora che lo si dica senza mezzi termini: l’apprendistato non è adeguato, eliminiamolo; oppure affianchiamolo a un conveniente contratto d’inserimento. Ma se vogliamo finalmente riconoscere che ciò che occorre alle nostre aziende è uno strumento il cui obiettivo specifico risieda proprio nella formazione di risorse capaci, attraverso un percorso professionalizzante, di creare valore per le aziende proprio mentre viene accresciuta l’impiegabilità delle persone, beh, in questo caso dobbiamo puntare decisamente – senza riserve, né sperpero di risorse pubbliche – sull’apprendistato.



Assodata – una volta per tutte – questa priorità, possiamo poi, con altrettanta determinazione, richiedere che lo Stato preveda tutti gli incentivi possibili a favore dell’apprendistato, sia attraverso forme di sgravio contributivo che con la riduzione dei costi di utilizzo. Tutto ciò che può, infatti, renderlo meno complesso e più economico – fatto però salvo un chiaro impegno su appropriati contenuti formativi – rappresenta di sicuro, in questo frangente, una grossa opportunità di sviluppo.



A lato di questa forma, a oggi prevalente, di apprendistato cosiddetto “professionalizzante” – già nei fatti ampiamente utilizzabile, come dimostrato dalla sua costante crescita di applicazione in azienda – vi è poi la preziosa possibilità di usare l’apprendistato anche come complemento/alternativa alla formazione scolastica; e, questo, per costruire percorsi di formazione e lavoro validi tanto per il lavoro manuale – costituendo così una sana alternativa alla scuola superiore – che per conseguire traguardi di alta formazione, in grado di completare efficacemente la formazione post laurea. E qui, a parere di chi scrive, la pressoché totale assenza di soluzioni realmente esperibili rappresenta un preoccupante segno di arretratezza del Sistema scolastico e formativo italiano.



In realtà, l’apprendistato in diritto dovere per i ragazzi giovani e quello in alta formazione per i laureati sono già previsti dalla legge, ma purtroppo non sono state create le condizioni – tanto nazionali che regionali – per renderli davvero utilizzabili. Questa situazione tende così ad avvallare una dinamica in cui la scuola può continuare a rimanere autoreferenziale e sempre più distante dal “mondo reale”, considerando la formazione tecnico-professionale come una forma “di serie b”, su cui orientare solo coloro che vengono ritenuti “i peggiori” dall’attuale sistema scolastico.

È così infatti che, ahimè, si finiscono per aumentare le schiere di diplomati e laureati che potremmo definire “disoccupati potenziali” – quasi venissero improvvidamente pianificati e generati dalle gravi imperizie del sistema descritto – mentre si allontanano numerosi, bravi, giovani dalla possibilità di ereditare il grande patrimonio di lavoro manuale che contraddistingue il nostro popolo, con la perdita di tutte le, connesse, opportunità lavorative.

Così come, altrettanto gravemente, si finisce per ostacolare i giovani più dotati, al termine del percorso di laurea, impedendo loro di competere nel mondo, e sospingendoli di fatto a recarsi all’estero. Considerando che la disoccupazione giovanile nel nostro Paese sta viaggiando intorno al 40%, è forse il caso di chiederci che cosa aspettiamo ancora a intervenire. Cos’altro deve accadere?

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