«L’utilizzo improprio della posta elettronica con decine di destinatari per email su argomenti che spesso non li riguardano è una delle principali cause di inefficienze e perdita di tempo nella vita lavorativa quotidiana nelle aziende». Devo ammettere che quando, nei giorni scorsi, ho letto questa frase di Luca Cordero di Montezemolo, Presidente della Ferrari, ho avvertito un grande senso di soddisfazione. La battaglia contro l’utilizzo delle email in azienda la condivido da sempre. Trovo assurdo che si sia arrivati al punto di non rivolgere più la parola, non solo al collega del piano di sopra o di sotto, ma neppure al vicino di scrivania. Ormai l’utilizzo della posta elettronica, identificata universalmente dal simbolo della chiocciola “@”, ha annichilito il dialogo e la condivisione delle idee.
Comunicazioni chilometriche, presentazioni power point enciclopediche, pesantissimi allegati di ogni genere e specie hanno trovato il veicolo ideale nella semplice digitazione di un indirizzo e nel click del tasto invio. Lo strumento, come tutti gli strumenti, non ha ovviamente una connotazione negativa in sé. Anzi. Ha reso veloce ed economico contattarsi in qualsiasi momento del giorno e della notte, in ogni parte del mondo ci si trovi. Ha consentito di raccontare in tempo reale e con straordinaria efficacia gli eventi del pianeta, amplificando la comunicazione e rendendola più democratica, interpretando la filosofia della rete. “La conoscenza in rete – ha ricordato David Weinberger, autorevole filosofo di Internet e ricercatore della Harvard Law School – è meno certa ma più umana, meno definita ma più trasparente, meno logica ma molto più ricca”.
Ecco, se pensiamo alle email e alla nostra vita quotidiana, l’aspetto di umanizzazione è del tutto svanito. Ognuno di noi spende intere giornate a combattere con una casella di posta che tenta spasmodicamente di vuotare e che invece si riempie sempre. Costantemente. Inesorabilmente. I filtri anti spam non sono sufficienti. Servirebbero quelli contro le mail inutili, quelle stupide, quelle in cui non c’è una singola riga interessante per te, ma questo lo scopri solo alla fine. Quando hai già perso diversi minuti per leggerla. Oggi nelle aziende, mandare una comunicazione e mettere in copia il maggior numero di persone possibile è diventato lo sport nazionale (a proposito in Ferrari da adesso è vietato mettere in copia più di tre persone). Un tentativo, falso, di condivisione di idee, progetti, iniziative.
Se per caso ti capita la sventura di dimenticare di aprire una delle centinaia di email che ogni giorno ti perseguitano, presto o tardi qualcuno ti rinfaccerà di non essere adeguatamente informato e di non partecipare in modo attivo alla vita aziendale. Già, la vita aziendale. Ma quella, ti domandi, non era fatta di dialogo con le persone? Di confronto, magari anche di scontro, ma di relazioni umane? Non c’è tempo per quello, ti senti rispondere perché le agende dei colleghi sono sempre fittissime di impegni. Alcuni hanno delle giornate che farebbero impallidire il diario di Barack Obama. Allora, si potrebbe pensare, qualcuno le riunioni le fa davvero. Vede colleghi. Si parla. No, troppo facile. In questi incontri si fanno “briefing, debriefing, powerpoint, swot analysis”. Che poi vengono mandati a partecipanti e colpevoli assenti via email, naturalmente!
Oltre a questo tormento interno, se siete in posizioni di comunicazione con l’esterno, siete vittime anche del bombardamento di agenzie, aziende, consulenti, curiosi che, trovando facilmente il vostro riferimento in rete, vi scrivono e pretendono una risposta a qualsiasi quesito o proposta se non in tempo reale, poco ci manca. Inutile dire che se cestinate la comunicazione, dopo qualche giorno ve la ritroverete e sarete anche tempestati di telefonate per avere un riscontro sul suo contenuto. Ricevere 200 email al giorno non è poi così anormale.
Se stimiamo un tempo di lettura di due o tre minuti ciascuna, arriviamo a 7-10 ore al giorno. Una follia! Che peraltro con l’imperversare di Blackberry e smartphone non ci abbandona mai. Sette giorni su sette. Ventiquattro ore al giorno per 365 giorni. Tutto questo ha ucciso le relazioni interpersonali. Ha peggiorato drammaticamente il clima aziendale e ha fatto diventare quello che era nato come uno strumento di comunicazione un modo per tutelarsi o incastrare il collega.
Qualche hanno fa, parlando di questo argomento con il direttore di un grande studio, gli domandavo come potesse sopravvivere a una mole di email molto più grande della mia dopo, ad esempio, un periodo di vacanza. La risposta che mi diede fu geniale. “E’ molto semplice. Quando rientro in studio, seleziono tutte quelle che mi sono arrivate nel periodo della mia assenza e le cancello. Del resto se ci fosse stato qualcosa di realmente urgente mi avrebbero chiamato. Se non lo hanno fatto, vuol dire che qualcun altro dello studio ha risposto e ha risolto la questione. E nella peggiore delle ipotesi, mi riscriverà”.
Ecco io penso che dovremmo tornare a rispettare un po’ di più noi stessi e gli altri e ricominciare a dialogare guardandoci negli occhi. Mettendoci a confronto e parlandoci. Ma allora l’email? Umanizziamola, come ha fatto lo scrittore Daniel Glattauer che narra in “Le ho mai raccontato del vento del nord” di come l’invio all’indirizzo sbagliato di una email di disdetta di un abbonamento, porti alla nascita di una straordinaria storia d’amore. La “@” torni a essere un simbolo di unione e non di diffidenza o sospetto.