Nelle imprese c’è una quantità di manager molto competenti, brillanti, talvolta addirittura straordinari, che cercano di fare ciò che ritengono sia giusto per la crescita. Il problema è che pochissimi di loro assicurano quella leadership che sta diventando sempre più necessaria nelle imprese, nella politica e nei diversi ambiti. Il contesto ultradinamico e straordinariamente competitivo che ci troviamo ad affrontare nell’economia della conoscenza richiede sempre più leadership di qualità e da parte di più persone, per garantire uno sviluppo sostenibile alle aziende. Se manca questo tipo di leadership, le organizzazioni ristagnano, smarriscono i loro obiettivi e alla fine ne risentono pesantemente.
In un mondo sempre più globale, con un capitale umano con un livello culturale sempre più elevato e non più disposto a obbedir tacendo, è necessario un nuovo stile di leadership; ma, il punto nodale non è lo stile: è semmai un problema di sostanza, di comportamento operativo, di atteggiamenti, non di tattica o di dettagli superficiali; ed è un comportamento che cambia poco nel tempo, da una cultura all’altra o da un settore all’altro. C’è chi dice che le conseguenze di una leadership inadeguata sarebbero minime, perché la performance è la risultante di tantissimi fattori, interni ed esterni all’impresa. Sicuramente si può concordare sul concetto della pluralità di fattori, ma bisogna ricordare che la maggioranza di essi può essere influenzata dall’efficacia, o dall’inefficacia, della leadership.
Il vuoto di leadership esiste per tutta una serie di ragioni; e colmarlo diventa difficile per tanti motivi, uno dei quali è la complessità dei problemi. Ma la questione non è il numero limitato di persone in possesso di un adeguato potenziale di leadership. Anche se una persona su cento avesse il potenziale giusto, sarebbero sempre milioni a esercitare la leadership nel mondo. Oggi siamo lontanissimi da questi numeri, e ciò dovrebbe dirci qualcosa d’importante sui limiti educativi delle istituzioni scolastiche, delle università e anche delle famiglie. Invece di sviluppare il talento, d’invitare i collaboratori a prendere iniziativa e a imparare dagli errori e dai successi, le organizzazioni ignorano troppo spesso il potenziale di leadership; non danno educazione, né esempi in materia, e puniscono coloro che commettono piccoli errori quando provano ad assumersi responsabilità decisionali. Anche i lavoratori fanno la loro parte, omettendo di valutare realisticamente i propri bisogni formativi e di darsi da fare per soddisfarli.
Gli anni centrali del XX secolo sono stati contraddistinti dagli oligopoli, dai monopoli e da una quantità di barriere alla competizione globale, i quali tutti assieme hanno fatto sì che i salti di qualità non fossero necessari. Dal momento che i settori dell’economia cambiavano lentamente, e richiedevano quindi un mutamento organizzativo meno pesante, le modifiche incrementali erano quasi sempre sufficienti e i grandi salti si verificavano non prima di ogni dieci o venti anni. Oggi, in un numero sempre maggiore di settori, questo comportamento è divenuto insufficiente e può condurre al disastro. Negli ultimi anni, quindi, il numero degli interventi trasformativi dell’organizzazione è aumentato enormemente.
Questi interventi si chiamano reengineering, ristrutturazione, riorientamento strategico, qualità totale, cambiamento culturale, acquisizioni e fusioni. A ogni modo, per essere leader, non serve più, perciò avere una posizione di potere, sempre più precaria; bisogna piuttosto dimostrare di saperlo utilizzare e quindi possedere quelle capacità e competenze che non sono tecniche specialistiche, ma che sono doti personali di sensibilità e di umanità; caratteristiche queste generali e comuni a tutti i veri leader.
Dopo quanto detto appare chiaro che una leadership vincente si fonda su una molteplicità di pilastri che coincidono con quei fattori e comportamenti che possono garantire il successo di un’iniziativa: fiducia, collaborazione, enfasi sugli obiettivi, chiarezza, sicurezza, sostegno, performance, umanità, consapevolezza. Un esempio emblematico è quello relativo al Maresciallo Montgomery, il quale assunse il comando dell’VIII Armata e riuscì a infondere nei suoi soldati lo spirito necessario per battere le potenti divisioni corazzate di Rimmel. Quando Montgomery giunse al comando della VIII Armata, a causa di continui disastri e regressi, l’intera organizzazione si trovava con il morale a terra.
La prima cosa che fece fu di riunire i collaboratori, molti dei quali apparivano delusi e demotivati, chiedendo loro di lavorare insieme per avere fiducia gli uni negli altri. Subito dopo, Montgomery, chiarì ai suoi collaboratori, in modo inequivocabile, che non esisteva alcuna alternativa al successo, se non la vittoria.
In aggiunta rimarcò il fatto che chi non era disposto a credere nel progetto o non aveva più fiducia in se stesso poteva andarsene. Subito dopo chiarì quale fosse l’atmosfera che intendeva creare e trasmettere a tutti i livelli dell’organizzazione. Tutti dovevano sapere quali erano gli obiettivi, così che, quando avrebbero cominciato ad accorgersi che erano raggiungibili, l’intera organizzazione sarebbe stata percorsa da un’onda di fiducia.
Indubbiamente il discorso fatto da Montgomery ai suoi ufficiali è tipico di un leader efficiente ed efficace che usa il comando come guanto di velluto, ma con celato al suo interno il pugno d’acciaio; ossia il metodo Montgomery, fatto di fiducia, collaborazione, atmosfera, obiettivi, sicurezza, sostegno, performance, umanità, aggressività. Per pianificare tutte le azioni orientate a una leadership responsabile bisogna pertanto ricercare le opportunità di cambiamento, di crescita, d’innovazione e di miglioramento; assumersi le responsabilità e imparare dai fallimenti; inventare il futuro, creando delle visioni e coinvolgendo gli altri in queste vision, facendo appello ai loro valori, interessi, aspettative, speranze e sogni; alimentare la collaborazione attraverso una forte fiducia e la piena condivisione degli obiettivi; responsabilizzare gli altri fornendo loro informazioni e margini di discrezionalità; premiare chi osa provare, anche se il risultato è fallimentare; guidare per esempi; comportarsi coerentemente con i valori aziendali; pianificare piccole vittorie e celebrarle; dare riconoscimenti alle persone che hanno fornito un contributo per il successo di qualsiasi progetto, rafforzando nei team lo spirito di coesione; e infine concentrarsi su poche priorità, gestendo bene gli imprevisti e controllando le situazioni, attraverso flessibilità mentale e agilità organizzativa.