La leadership, ovvero la capacità e l’arte di creare e gestire il consenso intorno a un’idea e a un progetto, è sempre accompagnata da alcuni attitudini e disposizioni che possono essere riconosciute e allenate come determinanti nella formazione dei comportamenti di guida. Innanzitutto la capacità di costruire relazioni di fiducia, che deve ovviamente essere reciproca e dunque continuamente alimentata. Ogni persona traduce nel suo esprimersi il proprio modo di essere e di sentire, oltre che di pensare; per questo motivo un buon leader deve saper comunicare, intendendo con questo termine la capacità di valorizzare tutti gli strumenti del linguaggio verbale, e soprattutto non verbale, per trasmettere sensazioni, emozioni, attenzione e sicurezza.
Una forte enfasi su senso di condivisione delle conoscenze e sulla possibilità di collaborare, che dipende dall’atmosfera, dal clima dell’organizzazione e dalla sua cultura: questa è una responsabilità che il leader non può eludere. Questi è consapevole del fatto che, per affermarsi, deve essere in grado di saper utilizzare al massimo le capacità dei propri collaboratori organizzandoli in team, orientandoli a una collaborazione efficace e delegando a ciascuno la propria parte di compiti e responsabilità. Il ruolo del leader è paragonabile a quello di un allenatore di calcio: egli non entrerà mai in campo, poiché il suo contributo è quello di preparare gli uomini a vincere qualunque sfida, trascinandoli nei momenti difficili e frenandoli nelle occasioni di successo; deve accettare di essere considerato il colpevole nel caso di insuccesso, ma restituire e condividere con tutti i meriti di una vittoria.
Uno dei pilastri che costituiscono la base del buon leader è saper gestire i conflitti. Per dimostrare questa capacità il leader deve essere in grado ascoltare le idee altrui; definire il problema e circoscriverlo; pesare i fatti (che sono oggettivi), distinguendoli dalle opinioni (che sono soggettive); imparare a cercare il compromesso; riuscire a soddisfare al meglio le esigenze contrastanti; e, infine, utilizzare il pensiero flessibile, perché si può risolvere una situazione di empasse, scovando una terza via o proponendo una soluzione innovativa che risolva e sistemi tutto.
I veri leader non ricoprono semplicemente un incarico, ma sono portati a costruire un orizzonte (visione) a cui tendere. La visione nasce da un percorso mentale che aiuta a passare dal noto all’ignoto, nel progettare il futuro, partendo da una ricomposizione innovativa di fatti, speranze, sogni, rischi e opportunità. L’essere orientato ai risultati e non all’attività: i leader sono tali perché sanno concentrarsi su poche priorità definite in maniera netta e precisa, e hanno un costante controllo delle situazioni. Decidere significa scegliere, prender posizione, privilegiare, acquisire; ma significa anche rinunciare.
Quando si decide per un’azione o si sceglie una soluzione, contemporaneamente si lasciano perdere tutte le altre. Il comportamento di coloro che normalmente prendono delle decisioni ha come denominatore comune la motivazione, che porterà le persone ad agire con prontezza, rapidità, organizzazione, tenacia, fermezza, e capacità di attesa. È in questo senso che i leader devono dimostrare di essere tali, spiegando le loro decisioni agli altri e coinvolgendoli nelle stesse, in modo da trasmettere al gruppo la convinzione che le decisioni prese sono le migliori possibili.
Essenziale risulta moderare la disciplina con l’umanità, cioè con la capacità di mettersi nei panni dei collaboratori. Il leader ha l’abilità di saper interpretare i bisogni delle persone che gli sono state affidate, che in tale ottica diventano clienti esterni. Perciò, assieme al saper comunicare, il leader deve anche sviluppare la capacità di saper ascoltare, che nel lavoro è una capacità insostituibile, oltre che un dovere professionale; questo talento contribuisce in modo determinante alla buona esecuzione di qualsiasi compito, dalla soddisfazione del cliente, alla gestione della responsabilità.
Il leader è consapevole che ciò che va valorizzato non sono le risorse finanziarie, gli impianti o le tecnologie, ma le persone. Sa dunque distribuire il potere lungo l’organizzazione, responsabilizzando gli altri e facendoli sentire protagonisti. Il leader non impone ma persuade gli altri, interpretandone stati d’animo, sentimenti e attese. Egli ha il piacere di sorprendere i collaboratori a fare cose giuste, dando loro immediatamente riconoscimenti positivi, valorizzandone i punti di forza. Si tratta, però, di rifuggire dall’autoritarismo e dal formalismo, per instaurare con i collaboratori relazioni realmente cooperative e informali. Vivere con i propri collaboratori, comprendere le loro pene, dare l’esempio di saper reggere le loro fatiche precedendoli ovunque; questa umanità di chi deve comandare nulla toglie all’obbligo di essere duri e esigenti nel comando.
Ama il cambiamento e se ne assume il rischio; è dotato di spirito imprenditoriale e possiede la capacità di saper innovare, cioè di trovare il modo di fare qualcosa di nuovo, mai fatto prima o di diverso. Colui che vuole diventare leader, o lo è già, deve sviluppare questa capacità di innovare e di innovarsi, cercando di sviluppare una mente quanto più possibile flessibile, lavorando sui seguenti aspetti: la curiosità, che è un motore più forte dell’innovazione; sapersi concentrare su un obiettivo o una meta; la tenacia, che è la capacità di saper ricominciare a cercare nuove strade per risolvere un dato problema; l’immaginazione, rifiutando l’ovvio per così compiere il primo passo verso l’innovazione.
La volontà del fare, cioè la spinta a mettercela tutta, a dare il massimo non accontentandosi di risultati mediocri, nel senso di saper sopportare con naturalezza le sollecitazioni psicofisiche del lavoro; di distribuire correttamente lo sforzo nel corso della giornata; di gestire se stesso con autocontrollo e resistenza; consapevole che la fatica non è muscolare ma nervosa e, quindi, il lavorare duro riguarda la resistenza, la tenacia, la volontà, e il rispetto di se stessi; saper utilizzare al meglio l’energia di cui si dispone e saperla rigenerare quando essa viene impiegata. Il leader tende, insomma, in ogni sua attività all’eccellenza, cercando un legame tra la visione di lungo periodo e l’operatività quotidiana; tra sviluppo del business e soddisfacimento delle esigenze delle persone inserite nell’organizzazione.
La condizione comune a tutti i leader vincenti è il sapersi programmare: cioè l’attenta, rigorosa cura del tempo. Il tempo è la risorsa cruciale di uomini e organizzazioni; si vince nel tempo, grazie a come lo si utilizza. Il leader deve affrontarlo secondo criteri metodologici; gestirlo attivamente, con le tecniche della previsione, della pianificazione e della programmazione. Programmare, pianificare e prevedere non sono sinonimi, ma sono tre azioni completamente diverse, legate tra loro da una logica sequenziale: una persona che voglia sviluppare appieno la propria capacità di gestione del tempo, prima prevede, poi pianifica e infime programma.
Il talento finale che deve contraddistinguere un leader è, però, la capacità di autodiagnosi, intendendo con essa la capacità di acquisire coscienza dei propri punti di forza/debolezza, al fine di sfruttarli per migliorarsi. Far bene autodiagnosi significa ricominciare a osservare ogni giorno ciò che accade intorno a noi, come se fosse tutto nuovo. All’impegno profuso dal leader nel migliorare la propria capacità di autodiagnosi e valutazione deve però fare da contraltare un’uguale disponibilità a essere valutato e giudicato dagli altri. Il giudizio degli altri, unito a una buona capacità di autovalutazione, consentirà al leader di migliorarsi; il leader, infatti, è e deve essere, prima di tutto, maestro di se stesso.