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E così anche il tanto atteso decreto legge n. 76/2013 è finalmente entrato in vigore. Cerchiamo allora di vedere insieme se tanta, spasmodica, attesa è stata adeguatamente premiata nei fatti per la parte che concerne il nostro mercato del lavoro. A parere di chi scrive l’intervento è davvero da considerarsi di piccolo cabotaggio e, come spesso accade, contiene luci e ombre. Partiamo dalle prime. La sostanziale difesa dell’impianto della riforma Fornero, soprattutto per quanto riguarda la limitazione della cattiva flessibilità, è certamente da considerarsi un bene. Così come positiva appare, nell’ambito della a-causalità consentita sia al primo contratto di somministrazione che a quello a tempo determinato, la possibilità di proroghe (all’interno dei 12 mesi previsti per legge), e in particolare sino a 6 proroghe nel caso di somministrazione. Fatto, questo, che facilita l’impiego continuativo della persona da parte di quelle aziende che, all’inizio del rapporto di lavoro, non avevano visibilità sufficiente sul proprio futuro per fare da subito passi più lunghi.
In penombra, invece, gli sgravi concessi per supportare l’occupazione giovanile che, mentre a prima vista potrebbero sembrare una buona notizia – e in parte lo sono, a maggior ragione dopo l’incremento di risorse stanziate dall’Ue – rischiano però di distogliere risorse, veicolandole su una direzione diversa dalla strada principale che è quella della chiara indicazione dell’apprendistato come strumento determinante per l’inserimento formativo dei giovani.
E veniamo alle ombre. Molto debole e parzialmente squilibrato risulta in effetti l’intervento sulle forme di flessibilità buona. Si torna infatti a incentivare la reiterazione del contratto a termine, che proprio in questo ha il suo punto debole poiché lascia i lavoratori in condizioni di incertezza e senza alcun supporto complementare, non essendo le aziende in grado di garantire né la sicurezza di una continuità professionale, né percorsi formativi capaci di aumentare l’impiegabilità delle persone. Elementi, questi, che le Agenzie per il lavoro, al contrario, assicurano proprio quale caratteristica specifica del proprio compito e grazie al loro sistema di welfare.
Ancora una volta si è dunque persa l’occasione di incentivare in maniera forte e definitiva il contratto di somministrazione come strada maestra per queste forme di flessibilità reiterata, realizzando quelle condizioni di flexicurity che possono rappresentare una sintesi vincente tra sviluppo della competitività per le aziende, continuità professionale per le persone, migliore tenuta sociale del sistema. Come sosteneva anche Marco Biagi, “non esiste incentivo finanziario che possa compensare un disincentivo normativo” e oggi, considerata l’evidente carenza di risorse, la possibilità di spingere l’utilizzo della somministrazione non attraverso erogazione di denaro pubblico, ma, piuttosto, con un “incentivo normativo”, cioè con una decisa semplificazione – in primis con la soppressione “tombale” delle causali – potrebbe finalmente contribuire a risolvere il problema in modo definitivo, senza costi aggiuntivi.
Per ciò che concerne, infine, tutti gli altri temi già sul tavolo per giungere a una maggiore e migliore occupazione, va rilevato che questo decreto si limita a trattarli solo inizialmente. Al di là della decisione di conferire alle aziende che assumono un disoccupato parte dell’indennità che questi avrebbe altrimenti percepito direttamente, vengono di fatto rimandate decisioni in merito allo sviluppo di politiche attive – erogate tanto dal pubblico che dal privato -, l’opportuna revisione delle politiche passive, effettivi interventi sull’apprendistato, per non parlare di una reale revisione correttiva sulla flessibilità in uscita. In tal modo dimostrando, ahimè, l’intento estremamente limitato e pragmatico del decreto.
Obiettivi, questi, che in una fase di crisi acuta non vanno certo biasimati, ma che lasciano un grave dubbio sul fatto che vi sia effettivamente una direzione di fondo chiara e condivisa, rispetto alla quale anche interventi di breve termine potrebbero apportare un limitato ma prezioso contributo. Viceversa, la “sensazione” che si desume per ora è che una tale direzione di fondo tenda a latitare e che, dunque, interventi di questo tipo rischino fortemente di essere utili alla politica e molto, ma molto, meno al nostro Paese.