Nessuno, ormai, crede che lasciare invariata la riforma delle pensioni scritta dall’ex ministro Fornero possa produrre meno danni che mettervi mano, anche in maniera significativa (pur senza stravolgerla). Tuttavia, benché sulla necessità di modifiche la condivisione sia unanime, il governo ha deciso, per ora, di non fare nulla. Nonostante Enrico Letta, nel suo discorso di insediamento, avesse descritto la riforma delle riforma come una priorità. Se ne parlerà a settembre, quindi. Intanto, si fa sempre più largo l’ipotesi di introdurre un meccanismo di flessibilità secondo i criteri proposti dal presidente della commissione Lavoro alla Camera, Cesare Damiano. Il suo ddl prevede che si possa decidere quando accedere al trattamento previdenziale, entro una forbice compresa tra i 62 e i 70 anni. Ogni anno di anticipo rispetto ai 66 anni comporterà una riduzione dell’assegno del 2%, ogni anno di ritardo dall’uscita del lavoro, a partire dai 66 anni e fino ai 70, comporterà invece una maggiorazione di eguale entità. Altra ipotesi sulla quale, in Parlamento, si sta lavorando trasversalmente, è quella di estendere il prelievo di solidarietà a tutti i redditi superiori ai 90mila euro; la Corte costituzionale aveva bocciato il provvedimento di prelievo sulle pensioni superiori a tale importo. Abbiamo chiesto un commento in merito a tutto ciò a Carlo Alberto Nicolini, avvocato e docente di Diritto della lavoro presso l’Università di Macerata.



Fino all’autunno la riforma non sarà toccata. Cosa ne pensa?

E’ chiaro che in questo momento le priorità sono altre, a partire dagli interventi sul lavoro e per rilanciare l’economia. Inoltre, questa volta, eventuali riforme non si potranno fare con la decretazione d’urgenza, ma con legge ordinaria. L’unica vera emergenza era quella degli esodati, ma, a questo punto, anche la terza tranche è stata, ormai, definita. Al limite, sarà opportuno cercare di capire se le richieste eccedano l’offerta.



Il governo fa bene a individuare di volta in volta le coperture necessarie per chi rischia di trovarsi nella condizione di esodato e breve termine o dovrebbe risolvere la questione una volta per tutte?

In teoria, si dovrebbe agire una volta per tutte. Ma, se le risorse non ci sono, non si può fare altrimenti: tanto più che ci si sta avvicinando all’entrata in vigore del recente dettato costituzionale che prevede che per ciascuna operazione si individui, precedentemente, la copertura.

Cosa ne pensa della proposta Damiano?

Non bisogna dimenticare che i coefficienti di trasformazione da applicare ai montanti contributivi cambiano a seconda dell’andamento del Pil. Va da sé che, siccome le prospettive, in tal senso, sono tutt’altro che rosee, i futuri assegni previdenziali saranno ridotti. In questo contesto non è detto che sia il caso di introdurre ulteriori penalizzazioni per andare in pensione più presto. Dubito, inoltre, che sul fronte degli incentivi la proposta sia in linea con i conti sui quali si basa l’attuale meccanismo. Credo, invece, che sarebbe opportuno aprire una riflessione sulle rigidità imposte alle aziende. Oggi, infatti, la legge consente al lavoratore di restare sul lavoro fino ai 70 anni senza che, tuttavia, cessi la tutela contro i licenziamenti prevista dall’articolo 18. Questa norma elimina la flessibilità in uscita a danno dai datori di lavoro che, in precedenza, potevano licenziare il lavoratore nel momento in cui questo raggiungeva l’età minima per poter godere della pensione.



 

Come valuta, infine, l’ipotesi di estendere il prelievo di solidarietà a tutti i redditi superiori ai 90mia euro?

Si chiama di contributo di solidarietà, ma, in realtà, non è altro che un’aliquota Irpef aggiuntiva. Francamente, considerando la fase economicamente sfavorevole non so quanto possa considerasi opportuna una misura del genere. Come è noto la tassazione disincentiva i consumi e la classe medio-alta è quella che ha maggiore propensione a consumare.  

 

(Paolo Nessi)

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