Ormai il governo sembra affaccendato nella risoluzione di ben altre emergenze e le modifiche alla riforma delle pensioni sono passate in secondo piano. Si metterà mano alla legge Fornero solo dopo l’estate. Da qui all’autunno, in ogni caso, difficilmente l’esecutivo cambierà idea sul da farsi. L’idea di fondo è che la disciplina vada ammorbidita introducendo la possibilità di scegliere quando andare in pensione, entro un range compreso tra i 62 e 70 anni. Attualmente, l’età minima è fissata a 66. Tra le opzioni più gettonate, vi è la proposta Damiano, che prevede un maggiorazione del 2% della pensione per ogni anno di ritardo rispetto all’età minima, e una decurtazione analoga per ogni anno di anticipo. Titti Di Salvo, deputata di Sel in commissione Lavoro, ci spiega cosa ne pensa della situazione.
Secondo lei, perché il governo ha rinviato la questione?
Va detto che il ministro Giovannini, già nel corso della sua audizione di insediamento di fronte alla commissione Lavoro, parlò di settembre. In ogni caso, al di là degli annunci, siamo di fronte a un problema di sostanza, legato, anzitutto, al fatto che ci sono emergenze che il governo non riesce ad affrontare. Nell’ambito della disciplina pensionistica, c’è anzitutto quello degli esodati, oltre ad alcuni aspetti di carattere strutturale che vanno modificati. Per metter mano a tutto ciò sarebbe necessario prendere di petto alcuni nodi che riguardano la redistribuzione della ricchezza. Ma la stessa struttura delle larghe intese rende l’ipotesi piuttosto difficile. Tuttavia, presenteremo nelle prossime ore un disegno di legge per risolvere la vicenda degli esodati.
Cosa prevede?
Sostanzialmente, il mantenimento delle regole vigenti al momento dell’accordo di fuoriuscita dall’azienda, attraverso la creazione di un fondo alimentato in maniera adeguata per garantire tutte quelle persone che si trovano in quella situazione. Rispetto a quanto è stato fatto finora, intendiamo rimuovere il limite alla salvaguardia, legata attualmente alla capienza del fondo già esistente. Oggi le tutele si fermano nel momento in cui le risorse si esauriscono. Noi invertiamo il ragionamento: si salvaguardano tutti, le risorse si trovano in seguito.
Come?
Pensiamo anzitutto che l’Imu non vada cancellata per tutte le prime case. Chi ha redditi e patrimoni immobiliari elevati deve pagarla. Occorre, quindi, individuare una soglia sotto la quale non si paga. Inoltre, riteniamo necessario tassare le rendite finanziarie portandole al 23% come nel resto d’Europa, tassare i patrimoni sopra gli 800mila euro, rimettere in gioco la Cassa depositi e prestiti, e istituire un fondo in cui i provenienti della la lotta all’evasione vengano utilizzati per abbassare le tasse sui lavoratori dipendenti e sui pensionati, che rappresentano la platea da cui si attinge per finanziare le politiche pubbliche.
Cosa ne pensa della proposta di Damiano?
Posto che prima di fare qualunque modifica il governo dovrà fare dei calcoli esatti, ci tengo a ricordare che il sistema contributivo contiene in sé una variazione dell’importo della pensione legata al momento in cui si abbandona il lavoro. La rendita, in sostanza, equivale ai contributi versati suddivisi per il numero di anni che separano l’uscita dal lavoro dall’aspettativa di vita media. Chi va in pensione prima, quindi, ha minori contributi, da suddividere per un numero maggiore di anni, chi va dopo ha un gruzzolo maggiore da suddividere per una numero di anni minore. In conclusione, già di per sé il sistema contributivo prevede delle penalizzazioni. Aggiungerne di ulteriori non è pensabile.
(Paolo Nessi)