L’Italia rischia di arrivare alla fine dell’anno con 3 milioni e mezzo di italiani senza lavoro, quattrocentomila in più dei 3 milioni e centomila attuali. A lanciare l’allarme è la Cna, la confederazione dell’artigianato e della piccola e media impresa, il cui Centro Studi ha svolto un’analisi sulla crisi dell’occupazione nel nostro Paese. I numeri sono ancora una volta drammatici: rispetto ai primi sei mesi del 2012, si legge nel rapporto, l’occupazione si è ridotta di 407mila unità, che equivalgono all’1,8% in meno. Nel frattempo, il numero dei disoccupati “è salito del 16,4% a 431mila unità. Alla fine dello scorso giugno il numero degli occupati, 22,5 milioni circa, ha raggiunto il valore più basso del nuovo secolo, mentre il tasso di disoccupazione ha toccato il livello record del 12,1%”, con oltre tre milioni di senza lavoro. Non va di certo meglio per le donne, “con il 12,9% di disoccupate”, e per i giovani, “tra i quali la media dei senza lavoro tocca addirittura il 39,1%”. IlSussidiario.net ha chiesto un commento a Giorgio Benvenuto, già Segretario generale della Uil e Presidente della Fondazione Bruno Buozzi.



Crede che le cifre ipotizzate dalla Cna siano realistiche?

È indubbio che ci troviamo di fronte a una vera e propria desertificazione del sistema delle piccole e medie imprese, dell’industria e del mondo dell’artigianato. Per farsi un’idea della situazione, basta osservare tutte le serrande che, giorno dopo giorno, continuano a chiudere senza mai più riaprire. È ovvio che tutto ciò si ripercuote inesorabilmente sull’occupazione, e le previsioni della Cna sono assolutamente attendibili se l’Italia continuerà a restare con le mani in mano.



Cosa intende dire?

Ultimamente si sente parlare di una timida ripresa in tutta Europa, anche in Italia, eppure facciamo più fatica degli altri a uscire dal pantano della crisi. Ciò che più stupisce è però l’incapacità del nostro Paese di attuare una politica economica che possa risolvere i maggiori problemi che attualmente abbiamo, vale a dire il credito e il fisco.

A cosa si riferisce in particolare?

Basti pensare all’aumento delle addizionali Irpef che stanno applicando Comuni e Regioni, oppure l’incremento degli acconti Ires e Irap che andranno a colpire ulteriormente le imprese. È poi altrettanto lampante la totale assenza di una politica di tagli agli sprechi che, nonostante gli annunci, non ha mai davvero preso il via. Insomma, aumentano le tasse e la spesa, quindi aumenta ovviamente anche la disoccupazione.



L’allarme della Cna è da considerare come un “promemoria” per il governo o si potrà davvero arrivare a 3 milioni e mezzo di disoccupati entro la fine del 2013?

La Cna ha pubblicato una previsione che certamente e giustamente deve far riflettere su quello che probabilmente è il maggior problema italiano, ma credo che la cifra ipotizzata, pur rappresentando un rischio concreto, difficilmente potrà essere raggiunta. Già nelle prossime settimane questa emergenza dovrà essere avvertita dalle forze politiche e credo che si interverrà per porre rimedio, anche grazie alla sollecitazione della Cna che ha posto nuovamente l’attenzione su una situazione sempre più drammatica. Detto ciò, non bisogna comunque rilassarsi: il rischio ipotizzato è facilmente scongiurabile, ma non è così lontano come può sembrare, quindi il governo è “costretto” a occuparsene al più presto.

 

Quali soluzioni si possono immaginare?

È innanzitutto necessario agire per stimolare la ripresa della domanda nel Paese, attraverso cui aumentare il Pil e allontanarci quanto possibile dal baratro, esattamente come è stato fatto negli altri paesi europei. Inoltre, come dicevo in precedenza, è necessario diminuire drasticamente la tassazione per tutte le imprese che generano occupazione: un tempo si pensava che l’industria fosse una fonte inesauribile di risorse, ma oggi è arrivato il momento di guardare altrove, come al mondo della finanza o agli sprechi che continuiamo a trascinarci dietro.

 

Provvedimenti come il recente Decreto Lavoro non la convincono?

Credo che il governo debba fare di più. Il Decreto Lavoro è un primo passo, ma il Paese ha bisogno di azioni più profonde. Letta, a differenza di Monti, ha di fronte a sé una situazione economica ed europea certamente più vantaggiosa, quindi non può lasciarsi sfuggire l’occasione di agganciarsi e di intervenire concretamente per il bene dell’Italia. Restiamo quindi in attesa di segnali che possano davvero far tornare l’ottimismo.

 

(Claudio Perlini)

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