Un’estate in continua rincorsa per il nostro Paese. Solo poche settimane fa abbiamo registrato un incremento della fiducia delle imprese, la borsa di Milano ha fatto segnare il miglior rendimento tra i listini europei del 2013 (trainata soprattutto dalle quotazioni dei bancari), lo spread è sceso sotto i 250 punti (anche grazie all’aumento del rendimento dei titoli tedeschi) e infine il Pil ha diminuito la sua caduta fermandosi a un -0,2% (segnale che oltre all’export anche la domanda interna sta lentamente ripartendo). Neanche il tempo di godersi Ferragosto che CNA pubblica i nuovi dati di previsione sulla forza lavoro in Italia: a fine anno raggiungeremo i 3 milioni e mezzo di disoccupati, 500 mila in più del livello attuale.



Ovviamente dobbiamo giudicare queste previsioni al netto dei provvedimenti legislativi che il governo Letta ha varato le scorse settimane e del confronto tra le Parti sociali sulla questione occupazionale/contrattuale in vista di Expo 2015. Questo dato, apparentemente di controtendenza con gli altri rilevamenti accennati sopra, conferma quanto affermato dalla Bce qualche giorno fa: in Europa il Pil inizierà a crescere solidamente dalla fine del 2013, ma la ripresa occupazionale si avrà solo nella seconda metà del 2015.



Una delle dinamiche attraverso la quale si può dare spiegazione di questo fenomeno riguarda la Cassa integrazione guadagni. Molte realtà aziendali hanno in corso sospensioni dell’attività lavorativa, buona parte di queste non potranno più rinnovare e richiedere nuovamente questo ammortizzatore sociale, dovendo cosi avviare procedure di mobilità per i propri dipendenti. Sicuramente molte imprese sono ripartite, hanno ripreso la loro attività e alcune hanno anche incrementato le proprie commesse, ma in poche hanno avuto un incremento netto dell’occupazione. Inoltre, la maggior parte dei contratti di lavoro avviati sono per lo più a tempo determinato, quindi senza una visibilità temporale certa che preclude la sicurezza di una stabilizzazione lavorativa.



È significativo che il sistema finanziario, pur andando bene Piazza Affari, con lo spread in discesa, non abbia ancora individuato una strategia per sostenere le imprese. Serve un’iniezione di fiducia, che vada oltre agli incentivi economici e legislativi, qualcuno che dia credito a progetti industriali e aziendali, che ritorni tra mondo del credito e del lavoro una corresponsabilità virtuosa.

Oltre ai dati di CNA, anche l’Istat ha comunicato dei numeri significativi ieri: l’incremento di 154 mila sottoccupati a tempo parziale rispetto al 2011, portando cosi il dato italiano al 2,4% della forza lavoro (la media europea è del 3,8%). Due considerazioni, la prima: questo dato è un altro segno che le forme di flessibilità in Italia esistono, ma manca un disegno, una strategia industriale e contrattuale all’interno della quale utilizzare nel modo migliore tale flessibilità. Seconda considerazione: nessuno vuole mollare. Si preferisce un’occupazione a tempo ridotto pur di lavorare, perché prima del reddito all’uomo dopo un po’ manca il lavoro, manca il mettersi all’opera, l’esprimere sé nella realtà.

La vera sfida è non censurare questo desiderio e sostenerlo con tutti gli strumenti possibili. Il reddito e la sicurezza occupazionale sono beni da preservare e da rinnovare costantemente, ma prima di questo occorrono uomini e donne vivi, pronti a rimettersi in discussione, pronti a ripartire. La gente comune sta offrendo testimonianza di essere in grado di affrontare, con sacrificio, la drammatica realtà nella quale siamo immersi ormai da 5 anni. Spero che banchieri e governanti offrano lo stesso spettacolo.

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