Il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, torna oggi al Meeting di Rimini. Era già stato ospite della kermesse nel 2011 (l’edizione aperta dall’intervento di Giorgio Napolitano), quando era Presidente dell’Istat, per parlare dell’importanza dei numeri. Oggi quei numeri fanno intravvedere dei segnali di ripresa economica all’orizzonte, ma – come ha detto il Premier Enrico Letta – c’è un “clima sociale molto faticoso e pieno di difficoltà: è questo il rischio più grande per l’autunno”. Insomma, sembra in arrivo un piccolo balzo del Pil non accompagnato da una qualche crescita dell’occupazione. «Che la ripresa dell’occupazione segua la ripresa economica con un ritardo di alcuni mesi – spiega Giovannini a ilsussidiario.net – è normale. Il motivo è semplice: durante la recessione le aziende hanno ridotto gli orari di lavoro, incoraggiato forme di part-time o hanno fatto ricorso alla cassa integrazione. Durante la prima fase della ripresa, quindi, le imprese tendono a far lavorare di più e meglio i lavoratori in organico e solo quando la crescita viene confermata procedono a nuove assunzioni. Qualche buona notizia comunque c’è».



Quale?

C’è una ripresa europea, le aspettative delle famiglie e degli imprenditori italiani migliorano, l’export risulta in aumento e ci sono segnali di recupero di alcuni settori dei servizi, come ad esempio il turismo. Attenzione però, stiamo parlando di livelli di attività molto bassi e tante imprese ancora affrontano crisi strutturali. I rischi che paventa il Presidente del Consiglio per l’autunno sono quindi reali, ma grazie al Decreto Lavoro approvato dal Parlamento, alle risorse aggiuntive per gli ammortizzatori sociali in deroga e agli altri interventi che contiamo di realizzare con la Legge di stabilità dovremmo scongiurarli.



A proposito di Decreto Lavoro, al suo interno ci sono importanti sgravi per contrastare la disoccupazione giovanile. Quando arriveranno altre misure su questa emergenza del nostro Paese?

Considerata la realtà giovanile italiana attuale, la sfida è impegnativa. Si consideri che le ragazze e i ragazzi sono meno scolarizzati dei loro coetanei europei e più di due ragazzi su dieci tra i 20 e i 25 anni non hanno completato le scuole superiori. Il tasso di abbandono dei percorsi di istruzione e formazione è più alto che negli altri paesi Ue, così come il tasso di disoccupazione. Infine, molti giovani sono scoraggiati e non si dichiarano nemmeno in cerca di occupazione: solo il 17,7% degli italiani tra i 15 e i 24 anni è occupato, contro una media europea del 30,2%. Questa è la realtà che ci sfida e che contrasteremo anche attraverso la Garanzia Giovani, un programma europeo per il quale presenteremo il nostro Piano all’Ue entro il 31 ottobre.



Con quale obiettivo?

Il programma, che coprirà tutto l’arco del nuovo bilancio comunitario 2014-2020, assicurerà che a quattro mesi dal conseguimento di un titolo di studio o dall’iscrizione a una lista di disoccupazione, ogni giovane venga aiutato nella scelta un percorso di studio, formazione e lavoro che sia adatto alle proprie aspettative e alle condizioni di mercato. Nelle prossime settimane lavoreremo con le Regioni per costruire un piano coerente per investire nel capitale umano, nell’integrazione scuola-lavoro, nel miglioramento dei centri per l’impiego, nel raccordo tra pubblico e privato, nell’intermediazione, coinvolgendo tutti i soggetti interessati in una logica di integrazione sistematica. Questo ci consentirà di affrontare la situazione dei giovani, e non solo, anche attraverso una riforma dei servizi all’impiego e di migliorare il funzionamento del mercato del lavoro.

 

Come saranno finanziati questi interventi?

Da gennaio 2014 saranno disponibili i fondi della Youth Employment Initiative che, insieme ai Fondi sociali europei, finanzieranno politiche per i giovani per oltre un miliardo di euro nel biennio 2014-2015. Per questo è fondamentale disegnare, in collaborazione con le Regioni, un piano complessivo che non soffra dei problemi evidenziati nel passato dalla gestione dei fondi comunitari. Infine, intendiamo spendere i primi soldi della Garanzia Giovani anche per stimolare e sostenere l’autoimprenditorialità e la creazione di “start-up”, come già previsto nel Decreto Lavoro.

 

Nel quale però non è stato affrontato il tema dei cosiddetti “contratti Expo”. Lei si augura che l’accordo raggiunto per Expo 2015 Spa possa diventare un modello a livello nazionale?

Il tema è stato lasciato alla contrattazione tra le Parti sociali che hanno tempo di raggiungere un accordo entro il 15 settembre, in caso contrario il Governo interverrà autonomamente. Il lavoro avviato a luglio su questa tematica, strettamente monitorato dal Ministero, dovrebbe consentire di raggiungere un’intesa che valorizzi non solo quanto già definito per l’Expo Spa, ma anche alcune proposte che ho offerto alla riflessione delle Parti sociali, come l’apprendistato breve.

 

Se da un lato i dati sulla disoccupazione sono allarmanti, dall’altro si vede anche che persistono dei posti di lavoro vacanti, che le imprese faticano a coprire. Com’è possibile che esista questo mismatch?

In un certo senso, l’esistenza di posti vacanti fa parte della fisiologia del sistema. Il livello della disoccupazione è il risultato di due flussi di segno contrario: la segnalazione da parte di imprese che sono pronte ad assumere (i “posti vacanti”) e la segnalazione dei lavoratori che sono in cerca di lavoro.

 

C’è forse un problema nel sistema di servizi per il lavoro?

Affinché domanda e offerta di lavoro si incontrino è necessario avere infrastrutture adeguate. Su questo tema l’Italia è molto indietro e sorprende che per anni si sia trascurato il problema. In Germania, per esempio, la Bundesagentur fur Arbeit, un’agenzia federale che ha sede a Norimberga, occupa oltre 100.000 persone, di cui più di 30.000 sono in prima linea nei centri per l’impiego dei vari Lander e fanno consulenza diretta alle persone in cerca di occupazione e più di 6.000 fanno consulenza alle imprese. La prima linea è poi supportata da un’organizzazione e da strumenti di primissimo livello: una piattaforma nazionale domanda/offerta di lavoro, in grado di simulare anche scenari futuri, un’università per formare il personale interno, centri di monitoraggio continuo dei risultati, ecc. Insomma, mentre in Germania hanno costruito i treni ad alta velocità del mercato del lavoro, noi, salvo rari casi, ci siamo fermati ai treni a vapore.

 

Come si può porre rimedio?

Con il Decreto Lavoro abbiamo creato le basi per costruire un sistema moderno di servizi all’impiego che dovrebbe essere operativo dal 2014 per attuare la Garanzia Giovani. Anche in questo caso si tratta di coordinare strutture centrali, regioni e province e sembra non manchi la disponibilità a realizzare una riforma così importante. C’è poi un altro aspetto che va considerato.

 

Quale?

Oltre al mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro emerge anche un educational mismatch,cioè una mancata corrispondenza tra livello di istruzione raggiunto e quello richiesto da un’impresa, per superare il quale il quale i ragazzi andrebbero indirizzati da giovanissimi, prospettando loro le effettive possibilità di impiego appena si affacciano sul mercato del lavoro.

 

Perché ci sia occupazione occorrono imprese e Letta, nell’incontro avuto con Marchionne, ha detto all’ad di Fiat che il Governo intende dimostrare che in Italia è possibile fare impresa (come lei stesso ha detto). Per quanto riguarda le sue competenze, in che modo?

Che sia possibile fare impresa in Italia lo dimostra la forza del nostro export, malgrado l’ambiente non facile che gli imprenditori si trovano a fronteggiare. La modernizzazione del mercato del lavoro è uno dei modi attraverso i quali il governo può aiutare le imprese a competere meglio: non a caso l’esperienza di alcuni paesi europei dimostra che la possibilità di accedere a un’offerta di lavoro ampia e qualificata consente alle imprese di essere più produttive e più competitive. Naturalmente, l’Italia ha le sue specificità, tra cui la prevalenza di imprese di piccole dimensioni e una bassa produttività. Sfide come quelle poste dalla globalizzazione e dalla knowledge economy danno il senso di una competizione che si è spostata, obbligando tutte le imprese a investire in processi e prodotti innovativi attraverso l’acquisizione continua di nuove conoscenze. Per questo pensiamo che occorra puntare molto sull’istruzione, la formazione, l’alternanza scuola-lavoro, l’apprendimento permanente. Ma anche le imprese devono investire di più in formazione e nel capitale umano, aumentando la remunerazione del personale qualificato, soprattutto giovane.

 

Non pensa in ogni caso che la certezza del diritto, come dimostrato dallo specifico caso Fiat, sia un problema in Italia?

Certamente e per questo il Governo ha avviato un piano straordinario per smaltire gli arretrati della giustizia civile. Da parte nostra, ho proposto alla Confindustria e ad altre associazioni imprenditoriali un tavolo permanente per semplificare la legislazione sul lavoro.

 

Ritiene che, dopo la sentenza della Consulta sull’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori, le Parti sociali sapranno regolare autonomamente il tema della rappresentanza sindacale in tempi ragionevoli?

Fermo restando che la sentenza della Corte Costituzionale non ha creato un vuoto normativo, stiamo lasciando alle Parti sociali il tempo per trovare accordi in materia di rappresentanza (come già fatto, dopo decenni di discussione, tra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil), per poi valutare l’opportunità di un intervento normativo lungo le linee indicate dalla Corte.

 

Ci avviciniamo a settembre, periodo in cui, lei ha detto, comincerà a occuparsi di pensioni e di esodati. In che modo?

Distinguiamo le due questioni. Il tema degli esodati è stato oggetto di approfondimenti tecnici e si sta valutando l’opportunità di un intervento normativo per risolvere in modo definitivo un problema che riguarda ancora circa 20-30mila persone. Diverso è il caso di chi ha perso il lavoro e non ha maturato ancora il diritto alla pensione secondo le nuove norme: queste persone non sono “esodate”, ma disoccupate con scarse prospettive di reimpiego. Per queste stiamo immaginando soluzioni alternative, che però non comportino una modifica della riforma pensionistica.

 

Sarà possibile introdurre il principio di flessibilità nel sistema previdenziale come auspicato da più parti ?

Abbiamo già studiato, sul piano tecnico, la possibilità di rendere flessibile l’accesso alla pensione con diverse forme di penalizzazione. Alcune proposte avanzate nel passato sono molto costose e incompatibili con i vincoli finanziari derivanti dal Patto di stabilità. Altre sono maggiormente sostenibili. Sul tema delle pensioni vorrei aggiungere una considerazione.

 

Prego.

Nella misura del possibile, e distinguendo a seconda della tipologia di lavoro, è importante che i lavoratori meno giovani continuino a dare un contributo al mondo produttivo. Pagare delle persone perché non lavorino è un doppio controsenso: contribuisce a distruggere capitale umano e sociale, rappresenta un onere per la collettività. La vera sfida, quindi, è quella dell’active ageing, che valorizzi ciascuna persona a qualsiasi età.

 

A settembre si comincerà anche a lavorare alla Legge di stabilità. Pensa che si troveranno risorse per il taglio del cuneo fiscale e per il rifinanziamento della cassa integrazione?

Sono temi sui quali c’è stato un impegno pubblico del Presidente del Consiglio. Va però sottolineato che il percorso di riduzione del cuneo fiscale non può essere realizzato tutto in un anno, dati i vincoli finanziari di cui ho già parlato.

 

Recentemente si è aperto un dibattito sul pubblico impiego e sui precari della Pa. Come agirà il Governo su questo fronte?

Come io e il Ministro D’Alia abbiamo dichiarato, quanto pubblicato da alcuni giornali nei giorni scorsi (un piano per 200 mila prepensionamenti tra i dipendenti pubblici, ndr) è destituito di fondamento. Indubbiamente, avremmo bisogno di un forte ricambio generazionale nella Pa italiana, caratterizzata da un’età media di circa 50 anni, nettamente superiore rispetto agli altri paesi Ocse. Il tema però richiede analisi e valutazioni finanziarie accurate, anche per evitare di introdurre ingiustificate sperequazioni di trattamento tra settore pubblico e settore privato.

 

(Lorenzo Torrisi)