Il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, intervistato da Il Sole 24 Ore, ha delineato un’ipotesi di riforma delle pensioni. Anche se lui, in realtà, ci tiene a sottolineare che la disciplina Fornero non sarà propriamente contro-riformata. Si tratterà, più che altro, di interventi mirati volti a sanare e correggere quelle iniquità che la nuova disciplina, anche e soprattutto per la fretta con la quale era stata messa in cantiere, aveva generato. Giovannini parla, anzitutto, delle cosiddette pensioni d’oro. Da tempo si studia un modo per far pagare un contributo di solidarietà a chi percepisce assegni particolarmente elevati. Sin qui, le leggi che si erano preposte un tale scopo erano state stoppate dalla Corte Costituzionale perché non rispettavano il principio della capacità contributiva. Resta il fatto che il ministro ha fatto presente che, ad oggi, i dati pervenuti circa gli importi superiori ai 20mila o ai 50mila euro, sono solo qualche centinaio. Per questo, un’operazione sulle pensioni d’oro non produrrebbe un riequilibrio di grandi dimensioni. Piuttosto, sarebbe opportun intervenire anche sulle cosiddette “d’argento”. L’opzione sarebbe, secondo Giovannini, legittimata, dato che «chi sta andando in pensione fino al 2015 ha fatto almeno 20 anni prima della riforma Dini e altrettanti dopo; sono persone che hanno un sistema comunque retributivo, in generale più generoso rispetto ai contributi versati». Sulle soluzioni concrete, in ogni caso, il ministro ha preferito non rispondere, facendo presente che riguardando la questione la vita delle persone, serve estrema cautela. Altro capitolo fondamentale è quello degli esodati. Ovvero, di quei lavoratori che avevano sottoscritto un accordo di fuoriuscita anticipata dalla propria azienda sulla base di regole che sono state stravolte dalla legge Fornero, per effetto della quale si ritrovano o rischiano di trovarsi senza reddito da lavoro e da pensione per molti anni. Ebbene, Giovannini ha fatto sapere che l’esecutivo intende risolvere la questione a breve. Oltre ai 130mila già salvaguardati si sta tentando di allargare la platea ad ulteriori 20-30mila persone. Più controversa, invece, è l’eventuale inserimento di meccanismi di flessibilità in uscita. La proposta più in voga è attualmente quella di Cesare Damiano. Prevede che il lavoratore possa scegliere quando accedere al regime previdenziale, entro un margine compreso tra i 62 a i 70 anni. Ogni anno di anticipo, a partire dai 66 anni, comporterebbe una decurtazione del 2 per cento dell’assegno, ogni anno di ritardo una maggiorazione analoga. Da questo punto di vista il titolare del Welfare si è detto piuttosto scettico. «La proposta ha costi molto alti, parliamo di svariati miliardi e, come abbiamo dichiarato con il ministro Saccomanni, noi non abbiamo nessuna intenzione di fare una controriforma delle pensioni». In alternativa, quindi, «chi è a due-tre anni dal pensionamento e lascia il lavoro potrebbe per tale periodo ricevere un sostegno economico, che poi dovrà ripagare negli anni successivi: si tratterebbe di una sorta di prestito, senza costi aggiuntivi sul sistema pensionistico».