La Fiom-Cgil ha firmato un accordo separato con Confapi sul rinnovo del contratto dei metalmeccanici impiegati nelle piccole e medie imprese. Fim-Cisl e Uilm-Uilm sono invece salite sulle barricate, protestando per il fatto che l’aumento salariale sarebbe inferiore rispetto a quello previsto dal contratto di Federmeccanica. L’aumento in busta paga di 131 euro è giudicato soddisfacente dalla Fiom e troppo basso da parte delle altre due sigle sindacali. Ilsussidiario.net ha intervistato Maurizio Del Conte, Professore di Diritto del Lavoro all’Università Bocconi di Milano.



Quali sono state le premesse di questo accordo separato firmato dalla Fiom, ma non da Fim e Uilm?

Questa vicenda dimostra che c’è bisogno di un chiarimento sulla rappresentanza non soltanto dei sindacati e dei lavoratori,ma anche delle imprese. Il vero problema è il moltiplicarsi di contratti collettivi che di fatto vanno a ricoprire ambiti identici ma con categorie diverse. C’è una proliferazione dei soggetti datoriali che non è giustificata dal settore produttivo, che è lo stesso anche se al suo interno ci sono diverse rappresentanze aziendali. Ciò genera una serie di conflitti all’interno delle rappresentanze sindacali stesse.



Per quali motivi?

Da un lato le imprese non sanno bene a quale organizzazione datoriale iscriversi, perché a seconda della scelta possono avere un costo del lavoro inferiore o superiore. Dall’altra dipendenti che di fatto svolgono lo stesso mestiere si trovano a essere pagati in modo diverso. È il momento quindi di spostare l’accento dalla sola rappresentanza sindacale alle rappresentanze datoriali, in quanto non è la prima volta che ci troviamo con tavoli diversi da parte degli imprenditori.

Che cosa ne pensa del fatto che in questo caso la linea dura sia stata interpretata dal sindacato di categoria della Cisl anziché da quello della Cgil?



È un fatto abbastanza bizzarro, in quanto siamo sempre stati abituati a vedere logiche diverse. Ciò dimostra anche il fatto che non è vero che la Fim è più tenera nei confronti dei datori di lavoro rispetto alla Fiom. Piuttosto sono i temi a essere diversi. La Fim generalmente è più disponibile a concedere più flessibilità in cambio di maggiore retribuzione, mentre la Fiom è aperta a rinunciare a qualcosa dal punto di vista dei salari, ma non intende concedere nulla in tema di flessibilità. Appare quindi bizzarro, ma non del tutto incomprensibile, che la Fim si impunti sulla retribuzione.

 

Le dichiarazioni di Marchionne, secondo cui sarebbe impossibile investire in Italia, hanno destato scalpore. Che cosa pensa delle sue affermazioni?

Marchionne non coglie nel segno quando si tratta di individuare le vere cause di questa situazione che condiziona le aziende italiane. Il tema centrale del mercato italiano sta nei costi insostenibili della burocrazia, nelle scarse infrastrutture e nell’alto costo del lavoro. Si è parlato inoltre molto di flessibilità in entrata e in uscita, e troppo poco di flessibilità funzionale all’interno del rapporto di lavoro. È quest’ultima però la vera leva della produttività.

 

Che cosa intende per flessibilità funzionale?

Il nostro Paese è fermo a un modello organizzativo fordista che ormai è stato completamente superato e le regole sono concepite per quel modello. Abbiamo passato gli ultimi dieci anni con lotte all’ultimo sangue su temi come i licenziamenti e i contratti flessibili, e non abbiamo capito che la chiave per la produttività sta nel fatto di avere la possibilità di adeguare i modelli organizzativi e la fungibilità della prestazione lavorativa in linea con la flessibilità dei modelli organizzativi contemporanei. È questa la frontiera su cui ci si dovrà impegnare.

 

(Pietro Vernizzi)

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