I gesuiti continuano ad insegnarmi molte cose. Ad esempio, quest’anno, a “Civiltà Cattolica”, ho fatto ferma una convinzione: per superare la crisi, bisogna seriamente ripartire dalla persona.
Perché, se i cosiddetti corpi intermedi non sono stati all’altezza di trovare la quadratura del cerchio, ed anzi hanno perso rappresentatività, e quindi capacità decisionale; il Paese, per avviarsi alla ripresa, dovrà riporre fiducia sulla persona che questi corpi hanno avuto l’ambizione di rappresentare, riscoprirne il valore e utilizzare, per camminare, le gambe di ciascuna persona.
Perché il nostro Paese, prima che di grandi partiti, sindacati, giunoniche associazioni, è fatto di persone e dei ristretti nuclei a cui queste appartengono secondo legami diversi. E dunque, in ordine ascendente, di famiglie, parrocchie, associazioni a misura d’uomo, comunità, e così via dicendo. In questo senso, ho trovato conforto nelle parole del Papa che ha dimostrato di tenere sopra ogni cosa alla persona, gioco forza al suo “sentire”, e quindi, naturalmente, alle sue relazioni con gli altri. E dunque con coloro di cui fa l’incontro nei contesti che vive e con cui trova unioni in forme diverse – dalla famiglia alla comunità – che ne esaltano l’individualità piuttosto che sciuparla. Come invece accade quando l’identità della persona perde forma nelle paludi degli iscritti a imponenti organizzazioni, finendo per assumere le sembianze del numero di una “tessera”.
E così, con la sua prima enciclica, il Pontefice ha fatto “luce” sulla fede, toccato l’intimità della persona, posto attenzione alla sua vita nella famiglia e nella comunità. E, in questa direzione, al dovere di formare la persona stessa che incombe su genitori e su sacerdoti; perché se la crescita passa per la fiducia verso la persona, di certo bisogna riporla su persone rette, pena una crisi altrettanto grave del sistema.
Così, il Pontefice con parole singolari ha raccomandato: “è importante che i genitori coltivino pratiche comuni di fede nella famiglia, che accompagnino la maturazione della fede dei figli. Soprattutto i giovani, che attraversano un’età della vita così complessa, ricca e importante per la fede, devono sentire la vicinanza e l’attenzione della famiglia e della comunità ecclesiale nel loro cammino” (Lumen Fidei, 53).
Ed ancora, su questi presupposti, ha richiamato al ruolo di educatori i sacerdoti delle parrocchie che, credendosi talora semplici amministratori, hanno abdicato a tale compito e lasciato andare novantanove pecore dal recinto.
Certamente, simili convinzioni lasciano scettici quelli che ritengono che le soluzioni possano giungere solo dall’alto, con l’intervento dello “Stato”, giudicando male ogni forma di “antropologia positiva”, a ragione della scarsa fiducia nelle capacità della persona.
Bene. Una volta, un fisico di sistema complessi mi disse che per dimostrare l’efficacia di un modello è sufficiente fornirne una proiezione empirica. Ed allora penso, essendo un giuslavorista, ai benefici che, ripartendo dalla persona, potrebbe trarne il nostro mercato del lavoro. Ad esempio, potrebbe decollare il contratto di apprendistato che è volano dell’occupazione e che il legislatore, intervenendo dall’alto, ha invece soffocato con lacci e lacciuoli per il timore dell’abuso che se ne facesse.
È, ad esempio, il caso della regolamentazione di alcuni profili affidata alle regioni, alle province autonome o ai sindacati; o ancora dell’obbligo di stabilizzazione. Ed invece un artigiano, o per meglio dire una persona, con una bottega più o meno grande dovrebbe poter scegliere liberamente, senza dover badare ai vincoli imposti dall’alto, di formare sul lavoro un giovane in età scolastica, come accade in Germania, e poi di assumerlo a tempo indeterminato apprezzate le sue qualità. Allo stesso artigiano poco importa, ad esempio, che agli apprendisti sia garantita una formazione uniforme sul territorio nazionale in ossequio a principi di natura costituzionale.
O ancora, ripartendo dalla persona, potrebbe, ben oltre l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, decollare la contrattazione di secondo livello, e dunque quella affidata alle persone che vivono in azienda, che è volano della produttività dell’impresa perché è in grado, molto più di quella nazionale, di stimolare i fattori di crescita di ogni specifico contesto produttivo.
Insomma, cambiare passo – e dunque prima ancora prendere atto che la vecchia società è morta – significherebbe cogliere l’opportunità che deriva dalla crisi, perché le tensioni fanno parte del processo del cambiamento e di crescita.
In fondo, come Carl Gustav Jung teorizzava, a partire da metà della vita, anche di quella di una società aggiungo, rimane vivo soltanto ciò che vuole morire con la vita: bisogna morire prima di morire, se non si vuole vivere morti nella vita.