Per Luca Spataro, professore associato di Economia Politica all’Università di Pisa, meglio non continuare a cambiare le regole della previdenza perché «provoca solo incertezza nei piani delle famiglie». Se cade il governo Letta non rischia solo la riforma delle pensioni, ma «si ridurrebbero anche i piccoli margini di manovra che l’Europa ci ha lasciato per distribuire le poche risorse rimaste nei nostri conti». La vicenda esodati andrà invece «analizzata di anno in anno, compatibilmente con le risorse che si renderanno disponibili». Ma soprattutto occorre «un nuovo patto intergenerazionale che consenta di impiegare i risparmi delle ultime riforme previdenziali per aiutare i giovani che non trovano lavoro». E poi puntare sulla previdenza complementare.
Se cade il governo che fine farà la riforma delle pensioni?
Innanzitutto va detto che la riforma Fornero, anche se dolorosa, è stata un passo necessario per rimettere ordine nei conti della previdenza. È vero che sono rimasti dei punti insoluti: ci sono persone, ad esempio, che hanno visto posticipare di 3, 4 o 5 anni l’uscita dal mondo del lavoro. Questo è un punto problematico che può essere risolto solo politicamente, con una soluzione che risulti sostenibile sia dal punto di vista dei conti che da quello sociale. Certamente non è una cosa che può essere risolta dai tecnici. In ogni caso starei molto attento a toccare nuovamente le regole previdenziali.
Non è inevitabile tornare a metterci mano?
Cambiare molto spesso le regole, com’è successo negli ultimi anni con i vari governi che modificavano al ribasso le misure adottate da quelli precedenti provoca solo incertezza nei piani delle famiglie.
Su cosa bisogna puntare allora?
A favorire l’ingresso di giovani disoccupati nel mercato del lavoro.
Come?
Attraverso un nuovo patto intergenerazionale che consenta di impiegare i risparmi delle ultime riforme previdenziali per aiutare i giovani che non trovano lavoro. Anche per questo c’è bisogno di un largo consenso. Il governo delle larghe intese avrebbe tutte le carte per affrontare un tema di questo genere. Ora, se il governo cade tutto ripartirà da zero. E anche i piccoli margini di manovra che l’Europa ci ha lasciato, che ci consentono di distribuire le poche risorse rimaste nei nostri conti si ridurrebbero ulteriormente.
Via Letta che ne sarà degli esodati?
Va detto che molto è stato fatto nella prima parte dell’anno per far fronte a migliaia di persone che, indipendentemente dalla loro volontà, erano rimaste in mezzo al guado, senza salario, né pensione. Su queste pagine ho già avuto modo di spiegare che la vicenda degli esodati andrà analizzata di anno in anno, compatibilmente con le risorse pubbliche che si renderanno disponibili.
Giusto il taglio delle pensioni d’oro?
Certamente vedrei con favore una redistribuzione tra pensionati delle pensioni d’oro, dai pensionati d’oro agli esodati. C’è anche un altro problema.
A cosa sta pensando?
Alla previdenza complementare; c’è ancora molto da lavorare su questa materia. L’ente pubblico previdenziale infatti non riuscirà più a garantire le pensioni che abbiamo avuto finora. Pertanto sarà cruciale lo sviluppo dei fondi pensione. Ma su questo fronte è stato fatto poco o nulla.
Cosa occorre fare?
Andrebbe fatta una campagna di informazione rivolta alla famiglie per metterle a conoscenza di due cose: uno, che le pensioni saranno più basse; due, che devono iniziare seriamente a pensare come investire i propri risparmi in vista della vecchiaia.
Il ministro Giovannini ha proposto di dare un acconto sulla pensione a chi perde il posto quando è ormai prossimo alla meta. Lei cosa ne pensa?
Può essere una cosa interessante. Se Giovannini l’ha proposta vuol dire che reputa che la fattibilità è reale. In sostanza significa che i risparmi che si avrebbero in 2, 3, 4 anni sarebbero maggiori delle spese che andrebbero anticipate a questi lavoratori. Parliamo però di una proposta che deve essere verificata nel concreto, alla luce dei fondi che l’Inps ha o non ha a disposizione. Non dobbiamo dimenticare che abbiamo ancora il problema della cassa integrazione, in generale della disoccupazione, della crescita e del rilancio dei consumi.