Il mercato globale mostra turbolenze, quello dell’Eurozona rimane ingabbiato da un eccesso di rigore, ma è più probabile, pur tra “scossoni”, una ripresa economica in tutto il sistema. Sarà lenta, cioè a crescita bassa, almeno fino al 2018-20 secondo gli scenari più recenti, ma sufficiente per dare un traino esterno alla ripresa in Italia. Al momento il nostro sistema economico è ancora in fase di inversione della recessione verso una ripresa che prenderà evidenza nell’ultimo trimestre. Ma la ripresa in Italia si annuncia lentissima perché, nonostante la vitalità dell’export, il mercato interno resta appesantito da carichi fiscali e vincoli eccessivi, complicati – questo è il freno principale – da una perdurante restrizione del credito.
Qualche mese fa l’Istat ha previsto che nello scenario di ripresa lentissima la disoccupazione continuerà a salire fino ad un picco del 12,3%. I dati correnti mostrano un lieve miglioramento di questa tendenza, ma anche un peggioramento impressionante sul lato della disoccupazione giovanile. Nelle fasi di rimbalzo dopo recessioni gravi è normale il fenomeno della “ripresa senza occupazione” perché le aziende tentano di coprire gli impegni utilizzando fino ai limiti la forza lavoro esistente, per aumentare i margini di profitto, e vogliono essere sicure che la ripresa ci sia prima di investire ed aumentare i costi. In caso di ripresa lentissima, come è probabile al momento in Italia, questo fenomeno potrebbe allungarsi nel tempo. Pertanto c’è il rischio che la disoccupazione si stabilizzi per anni sopra il 10% e che, soprattutto, quella giovanile resti tra il 30 e il 40%. Ciò renderebbe endemica la stagnazione in Italia e comporterebbe l’impoverimento permanente e grave di circa 1/3 della popolazione mettendo a rischio la stabilità sia economica sia sociale del nostro sistema.
Soluzioni? La migliore per efficacia sarebbe quella di dare stimoli fiscali fortissimi al mercato, cioè tagliare sostanzialmente spesa pubblica e tasse, modo anche per risanare le banche perché sconterebbero nel presente un futuro di crescita forte. Ma non è credibile che il nostro sistema politico voglia e/o possa fare tale azione di efficienza, per lo meno nelle quantità necessarie.
L’altra soluzione – meno efficace, ma comunque salvifica – è di incentivare l’aumento dell’occupazione con misure straordinarie contando sul fatto che i potenziali di crescita ci sono.
In altre parole, se per le aziende il costo e la rigidità dei contratti del lavoro si riduce, molte di queste anticiperanno o aumenteranno la domanda di lavoro. Per esempio: (a) contratti a zero oneri previdenziali e totalmente flessibili per i giovani fino ai 30 anni; (b) periodo di 5 anni in cui sarà possibile, in generale, accendere contratti di lavoro in deroga dalle regoli attuali. Aumenterebbero i precari? Con onestà e realismo dobbiamo chiederci: meglio precario o disoccupato?