Per far ripartire l’Italia occorre riportare il tasso di disoccupazione e quello dei consumi almeno ai livelli del 2009. È quanto emerge da una ricerca dell’istituto Tecnè di Roma. Secondo le previsioni, la ripresa, che si vedrà solo dal secondo trimestre del prossimo anno, sarà lenta e fragile, frenata da un alto tasso di disoccupazione (ancora in crescita) e da una domanda interna troppo debole. In base ai calcoli di Tecnè con un investimento di 15,8 miliardi di euro per stimolare l’occupazione si otterrebbe come effetto un calo del tasso di disoccupazione sotto l’8%, una crescita della domanda interna dell’1,6% e un incremento del Pil del 2,5%. Al presidente Carlo Buttaroni abbiamo chiesto come si arriva a quelle cifre e dove si possono trovare oggi risorse così ingenti.



Che calcoli avete fatto per arrivare a quelle cifre?

Sono modelli econometrici. Abbiamo calcolato il rapporto tra investimenti – pubblici e privati – e capacità di creare lavoro per vedere che tipo di impatto hanno, a livello nazionale, gli aiuti economici sull’occupazione. Nel caso di investimenti pubblici abbiamo determinato quanto inciderebbero sul debito. Abbiamo visto qual era il moltiplicatore sui consumi e tutta una serie di altri dati. Per fare questa stima abbiamo utilizzato il dato medio. Il risultato sono questi 15,8 miliardi di investimenti che dovrebbero ridurre il tasso di disoccupazione di circa 4 punti rispetto al dato attuale, oltreché incrementare la domanda interna dell’1,6% e il Pil del 2,5%.



Quindici miliardi e 800 milioni sono una cifra enorme…

Capisco che parlare di quasi 16 miliardi di euro possa fare una certa impressione. In realtà, sempre sul versante della spesa pubblica, in passato sono state fatte manovre ben più impegnative. Nei momenti più acuti della crisi sono state prese – complessivamente in un anno – misure 3,4 anche 5 volte superiori alla cifra che abbiamo stimato. Magari con effetti meno positivi.

Dove si possono trovare risorse così ingenti?

Innanzitutto attraverso una riqualificazione della spesa pubblica. In secondo luogo, c’è l’opportunità di sforare sul debito.



In che senso scusi?

Noi immaginiamo il trattato di Maastricht come un moloch. In realtà, non è così. Tant’è che in altri periodi altri paesi hanno chiesto di rinegoziarlo. Per prima fu proprio la Germania, poi la Francia: entrambe chiesero di rinegoziare il trattato di Maastricht perché non riuscivano a rispettare i parametri che erano stati fissati. Da quando è scoppiata la crisi quel trattato è diventato invece qualcosa di intoccabile e di non negoziabile.

Va rinegoziato Maastricht?

Maastricht è un indirizzo, è questo lo spirito del trattato. Nel caso in cui l’indebitamento dovesse riguardare l’occupazione ci sono tutti i termini, perlomeno politici, per ripensarlo, per rivederlo. Anche la Commissione europea di recente si è espressa in questa direzione. Occorre maggiore elasticità su consumi, occupazione e impresa. Ci sono tutti gli elementi per una rinegoziazione economica degli accordi europei. Certo bisogna alzare un po’ il tono.

Come andrebbero investite quelle risorse?

Innanzitutto defiscalizzando gli oneri del lavoro per ridurre il carico delle imprese. Questa indicazione è contenuta anche nelle linee guida della Comunità europea. Rappresenterebbe un incentivo per le imprese che assumono e favorirebbe nuova occupazione, in particolare quella dei giovani, che nelle fasi più acute della crisi ha subito un vero crollo. L’altro aspetto su cui bisogna intervenire è la disoccupazione di lunga durata, attraverso programmi di formazione.        

 

Quello che ha fatto finora il governo va nella direzione giusta?

Sì, sicuramente va nella direzione giusta. Al governo bisogna riconoscere un notevole impegno sul tema del lavoro. Gli interventi però sono tutti tiepidi. E sono state fatte cose che, a mio avviso, sono errori.

 

Per esempio?

Aver tolto l’Imu – come ci è stato detto anche dall’Europa – non va nella direzione giusta. L’Imu è sicuramente una tassa molto onerosa che va rimodulata. Però va a incidere sui patrimoni. E in questo momento togliere una tassa sul patrimonio compensandola – come pare debba avvenire – con una tassa sui consumi, aumentando l’Iva, è una mossa sbagliata perché toglie stimoli alla ripresa. Nel complesso tuttavia il Governo si sta muovendo bene. Purtroppo gli interventi fatti finora sono molto deboli e insufficienti rispetto a quello che è lo stato del paese. Serve altro.

 

Cosa?

In questi giorni la Fed ha lanciato un segnale importante decidendo di mantenere gli aiuti all’economia americana, immettendo liquidità nel sistema. E lo ha fatto proprio perché la situazione dell’occupazione non dava sufficienti garanzie di una ripresa abbastanza solida. Noi dovremmo prendere esempio da quella che è la patria del capitalismo che sta dimostrando di credere che la spesa pubblica è un forte stimolo alla ripresa.

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