Matteo Renzi tace sulle pensioni. Non un cenno nella sua eNews di mercoledì sera – 2.125 parole in 13.516 caratteri – con cui ha diffuso la prima bozza del Jobs-Act (i paradigmi inglesi sono sempre fascinosi!). Eppure “lavoro-pensione” è un binomio indissolubile, perché l’occupazione, più o meno stabile che sia, oltre a essere fonte di reddito al presente, rappresenta il programma previdenziale per il futuro nell’indissolubile patto, ahimè!, che impone a chi lavora di finanziare le pensioni di chi è a riposo.



Quel silenzio fa assai rumore tra le giovani generazioni alle quali il trentanovenne Rottamatore si è sempre rivolto, giustamente, con impeccabile estro di rivincita su una disastrosa classe politica. Fa assai rumore perché, passato il tempo della vittoria con gli orgogliosi proclami di santità politica, i trascurati giovani aspettano adesso soluzioni pratiche ai loro problemi: quelle che, non ce ne voglia Matteo, sono del tutto assenti nel suo “programma” di rilancio Jobs-Act.



Restiamo sul tema delle pensioni. Un’inchiesta pubblicata su ItaliaOggiSette del 6 gennaio, in cui si analizza parte del “Rapporto sulla coesione sociale 2013” pubblicato il 30 dicembre da Inps, Istat e ministero del lavoro, denuncia che il 97% dei collaboratori iscritti alla Gestione Separata dell’Inps è a rischio pensione. Motivo? Il reddito troppo basso percepito dai lavoratori – 9.700 euro nel 2012 – che compromette il requisito contributivo per la pensione a oltre 726.000 lavoratori (co.co.pro., mini co.co.co., lavoratori autonomi occasionali, ecc.). E le notizie non sono migliori per chi ha un reddito più alto. Qualche esempio: con un reddito di 12.000 euro (nel 1996) che sale fino a 31.840 (nel 2016), dopo 20 anni, non si ha diritto a una pensione perché troppo bassa; se il reddito iniziale è di 18.000 euro e sale fino a 47.760, la pensione sarà di appena 693 euro mensili: il 19% dell’ultimo reddito (quello che si chiama “tasso di sostituzione”, cioè quanto misura la pensione rispetto all’ultimo reddito o all’ultima retribuzione percepito da lavoratori).



L’analisi è una catastrofe a danno delle giovani generazioni. Quale soluzione pensa di mettere in campo Renzi per questo disastro? Quale soluzione per elevare quel tasso di sostituzione del 19-30% ai “flessibili” e che sale al 38-50% in caso di occupazione “stabile”, cioè con lavoro dipendente?

Altro argomento: il ticket sui pensionati d’oro che la Legge di stabilità 2014 ha introdotto in nuova versione. Andrà versato dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2016 in misura: del 6% sulla parte di pensione superiore a 91.250 euro e fino a 130.358 euro; del 12% sulla parte di pensione oltre i 130.358 e fino a 195.536 euro; del 18% sulla parte di pensione oltre 195.536 euro.

Questa è una misura che tocca la “vecchia” generazione, cioè i pensionati. Ma interessa i giovani perché, se il ticket non va in porto, come già successo nel 2011 quando è stato censurato dalla Corte costituzionale, quelle somme dovranno essere sborsate dai lavoratori. Con la beffa, peraltro! Perché i giovani se le possono solo sognare quelle astronomiche cifre di pensione, in quanto vietate dalla legge: il sistema contributivo infatti pone limite all’importo di pensione maturabile (occhio: il limite vale solo per chi ha cominciato a lavorare dal 1996, non per chi a quella data già era occupato).

Non sono pochi quelli che sostengono che le pensioni d’oro non vanno toccate “perché frutto di contributi versati”. Costoro però dimenticano che quelle pensioni sono state fissate, nell’importo e nel diritto, da una legge che “vincola” le giovani generazioni alle quali, però, nessuno ha chiesto se fossero d’accordo, semplicemente (o astutamente?) perché non ancora “esistevano” quando quella legge veniva inventata e approvata. È giusto che i giovani debbano mandare giù questa pillola senza neppure bere un sorso d’acqua di un “contributo di solidarietà” (il ticket)?

Per maturare una pensione di 90.000 euro in 35 anni di lavoro, in base alle regole vigenti per i giovani, occorre aver accumulato contributi per oltre 1.800.000 euro (circa 3,5 miliardi delle vecchie lire), ossia aver versato contributi annui per oltre 51.400 euro che corrispondono a una retribuzione di poco meno di 156.000 euro. Per maturare una pensione di 130.000 euro in 35 anni di lavoro occorre aver accumulato contributi per circa 2.600.000 euro (oltre 5 miliardi delle vecchie lire), ossia aver versato contributi annui per oltre 74.200 euro che corrispondono a una retribuzione oltre i 225.000 euro. Per maturare una pensione di 195.000 euro in 35 anni di lavoro occorre aver accumulato contributi per circa 3.900.000 euro (oltre 7,5 miliardi delle vecchie lire), ossia aver versato contributi annui per oltre 111.400 euro che corrispondono a una retribuzione oltre i 338.000. È verosimile che negli ‘70 ci fossero lavoratori con una retribuzione di 300, di 435 e di 655 milioni di lire?

L’analisi è un’altra disgrazia a danno delle giovani generazioni. Che cosa ne pensa Renzi del ticket sulle pensioni d’oro (e d’argento e di bronzo)? Crede che si possa/debba mettere mano, in qualche modo, per ristabilire una certa equità previdenziale tra “vecchie” e “giovani” generazioni?

Spero tanto che Matteo Renzi risponda a queste domande, anche se c’è poco da contarci perché troppo intricanti e sbilancianti per un segretario di un Partito da sempre affasciato al sindacato che conta più pensionati che lavoratori. Se dovesse farlo, oltre ad avere tutta la mia stima (che non conta assolutamente niente), darà dimostrazione di essere il vero Rottamatore: uno, cioè, che vuole essere un’alternativa e non semplice alternanza sulla scena politica di questo sfortunato Paese (il che conta tantissimo).