Intervenuto a “L’economia prima di tutto” su Radio 1 nella giornata di martedì 14 gennaio, Maurizio Landini ha sottolineato come sia “necessario che la presidenza del Consiglio, che si preoccupa di portare in Italia investitori stranieri, si preoccupi anche e soprattutto che i grandi gruppi italiani non vadano via, non vadano all’estero”. Secondo Landini, infatti, “in un Paese serio, com’è avvenuto negli Stati Uniti, Germania, Francia, la discussione su un patrimonio industriale deve essere al centro delle attenzioni del governo: c’è il pericolo di perdere un patrimonio industriale, di competenze”.



Naturalmente ogni riferimento a Fiat non è del tutto casuale. Anzi, a dire il vero, Landini ha anche aggiunto che “in tutta questa brillante operazione finanziaria di Marchionne emerge che la famiglia Agnelli non tira fuori neanche un euro, né negli investimenti nel settore auto, né nell’impegno a mantenere la presenza in Italia”. Dopo qualche ora d’attesa, è arrivata la replica del manager italo-canadese: “La questione degli investimenti è falsa. Abbiamo speso miliardi in Italia”.



Al di là che entrambi dicono qualcosa di vero, è chiaro come ancora una volta si pone il problema di cosa farà Fiat ora, e di quanto le decisioni circa nuovi investimenti possano essere condizionate da posizioni che il governo prenderà a livello di politica economica, tipo – per esempio – misure eccezionali per l’export, visto che gran parte della produzione di Fiat in Italia sarà per i mercati esteri. Quindi, come scrivo da tempo, attendiamo risposte da Letta. Per dire quanto la situazione sia in alto mare, l’altro giorno in conferenza stampa da Detroit, alla domanda “c’è qualcosa che vorrebbe chiedere a Enrico Letta e al governo italiano?”, Marchionne ha quasi emulato Renzi (Letta chi?): “Non saprei come rispondere, in Italia dovrebbero fare quel che fanno tutti i governi”.



Proseguirà intanto il prossimo 23 gennaio, ed eventualmente il 24, il confronto tra Fiat, Fim, Uilm, Fismic, Ugl e Associazione Quadri sulla parte normativa del nuovo contratto collettivo (dell’intero gruppo) che interessa oltre 80 mila lavoratori degli stabilimenti italiani di Fiat e Cnh Industrial. Al momento sono all’esame i testi relativi a permessi, orari di lavoro e relazioni sindacali. La discussione proseguirà sugli aspetti normativi del contratto per i quali i sindacati hanno presentato all’azienda alcune modifiche migliorative e integrazioni ai testi forniti dall’azienda nell’incontro dello scorso dicembre.

Teniamo conto del fatto che da ambienti sindacali si apprende che questo contratto sarà formalizzato prima della presentazione del nuovo piano industriale di Fiat-Chrysler, prevista per il 1° di maggio. Questo significa in modo chiaro che le parti sono già a conoscenza di come verrà riorganizzata la produzione in Italia, visto che il contratto stesso – per quel che riguarda l’organizzazione del lavoro – ha bisogno di poggiare proprio sulla produzione e sulla sua organizzazione.

Non ci sarebbe da sorprendersi troppo se questo nuovo contratto di gruppo troverà alla fine l’adesione anche della Fiom, che al momento non partecipa al tavolo in quanto non firmataria del precedente accordo, anche se in questo caso, dopo la sentenza della Corte Costituzionale, la situazione è un po’ più complessa di come appare. Teniamo conto che, a livello individuale, dopo gli accordi aziendali di Pomigliano e Mirafiori (2010), i lavoratori tesserati Fiom avevano anche loro aderito al contratto in essere – seppur derivante da un accordo collettivo non firmato dal loro sindacato di appartenenza – che, oltre a diverse condizioni di lavoro, recava nuove misure economiche più vantaggiose del precedente. Quindi, se i lavoratori hanno aderito individualmente al contratto in essere, e presumibilmente questa adesione individuale sarà anche per il nuovo, perché oggi la Fiom dovrebbe continuare con questo ostracismo?

Landini tra l’altro da giorni porta avanti una polemica contro il suo stesso sindacato confederale, la Cgil, sul terreno della rappresentanza sindacale, chiedendo di sospendere la firma dell’accordo – che ritiene “pessimo” – con Confindustria. “Lo statuto della Cgil dice che non si possono firmare accordi se non sono sottoposti al voto. Chiedo semplicemente che la Cgil continui ad essere, o torni ad essere, una organizzazione democratica, che la democrazia non la dice a parole ma la pratica”.

In molti continuano a sostenere che Landini voglia costituire un nuovo partito di sinistra. Chi scrive crede, invece, che il bersaglio di Landini sia proprio la Segretaria Generale della Cgil: guarda caso a maggio la Cgil dovrà scegliere se confermare Susanna Camusso o eleggere un nuovo Segretario.

 

In collaborazione con www.think-in.it

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