Siamo, ovviamente, ben distanti dai livelli occupazionali minimamente accettabili, ma, per lo meno, qualcosa negli ultimi tempi si è smosso. Ne è convinto il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, che dalle pagine de Il Sole 24 Ore fa il punto sull’anno trascorso, sottolineando la bontà di misure quali gli incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato (tra giovani, donne e over 50 sono state assunte circa 35mila persone) e ipotizza le priorità per quello appena iniziato: attivazione della youth guarantee grazie a 1,5 miliardi di euro di fondi europei, testo unico del lavoro e contratto unico. Abbiamo parlato di tutto ciò con Tiziano Treu, professore di Diritto del lavoro presso l’Università Cattolica e già ministro del Lavoro.



Crede che la youth guarantee possa realmente essere implementata e avere efficacia?

Il Piano garanzia giovani è un impegno europeo di cui sono convinti e sul quale hanno deciso di impegnarsi sul serio pressoché tutti, a partire da Enrico Letta. La volontà di agire è reale.

Come?

Serve attrezzare i Centri pubblici per l’impiego e gli operatori privati affinché possano prendersi in carico migliaia di giovani coinvolgendo, ovviamente, Regioni, scuole e università; così come è stato fatto in tutti i paesi europei, l’Italia deve dar vita, in maniera efficace, ad attività di orientamento e di accompagnamento. Tali attività, se svolte correttamente, consentirebbero di superare il mismatch, ovvero la discrepanza tra la domanda e l’offerta di lavoro.

Ci spieghi.

Non ci sono solamente giovani che non trovano un’azienda che abbia bisogno di loro, ma anche aziende che non trovano il personale di cui hanno bisogno. Ovviamente, questi discorsi hanno senso se c’è la ripresa. Se, intorno, c’è il deserto produttivo, è difficile ipotizzare il rilancio dell’occupazione.

In tal senso, crede che gli incentivi fiscali per le assunzioni stiano funzionando?

Indubbiamente, stanno rappresentando uno stimolo importante. C’è da dire che sono partiti lentamente, mentre molti imprenditori non sanno che, se assumono a tempo indeterminato, possono godere di sgravi fiscali. L’informazione in merito, che è parte integrante del servizio che deve essere reso dallo Stato, va certamente potenziata. Nel resto d’Europa, d’altra parte, i governi hanno fortemente pubblicizzato le iniziative analoghe. Trattandosi, in parte, di risorse europee, sarà fondamentale dimostrare di saperle utilizzare al massimo. Solo così, infatti, sarà possibile ottenerne dall’Europa di ulteriori.

Secondo Giovannini, dall’anno prossimo è possibile realizzare un testo unico del lavoro.

La realizzazione di un testo unico del lavoro, di per sé, sarebbe un’opera mastodontica. Credo che sia, invece, necessario cominciare dalla semplificazione degli adempimenti che incontrano le imprese per assumere, o dallo sportello unico per il lavoro, un luogo, cioè, dove le imprese possano ricevere tutte le informazioni di cui hanno bisogno rispetto alle procedure burocratiche e legali di cui devono farsi carico. Altro settore da semplificare notevolmente, è quello degli ammortizzatori sociali.

 

Lei cosa suggerisce?

Una razionalizzazione. La cassa integrazione, per esempio, non può protrarsi per sette anni. Deve durare, invece, un tempo ragionevole, finché c’è la possibilità reale che l’azienda si riprenda. Dopo di che, si deve passare all’indennità di disoccupazione; quest’ultima, infine, va rafforzata: gli ammortizzatori sociali vanno estesi universalmente a tutte le categorie lavorative. Le risorse si possono reperire, per l’appunto, evitando di concentrarle per anni su aziende ormai decotte.  

 

Cosa ne pensa dell’ipotesi di un contratto unico?

Anch’esso fa parte della semplificazione. L’obiettivo di fondo è quello di superare l’attuale miriade di contratti, spesso fonte di complicazioni, incertezze e precarietà. Tuttavia, in concreto, bisogna capire che forma assumerebbe. Le proposte in campo sono le più svariate e, per esempio, sarà necessario comprendere se dovrà essere applicato in caso di prima assunzione, magari per un periodo di tre anni, o per sempre. In sostanza: se un 35-40enne cambia lavoro, dovrà ricominciare da capo e farsi tre anni di prova, o no? Insomma, sarà una delle questioni più delicate di cui si dovrà discutere. 

 

(Paolo Nessi