Come comunicato qualche giorno fa dall’Acea (l’Agenzia europea dell’industria automobilistica), il mercato europeo dell’auto ha subìto ulteriori rallentamenti: nel 2013 scende dell’1,8%. È il sesto calo consecutivo e il peggior volume dal 1995. Nel 2013 Fiat Group Automobiles ha immatricolato in Europa (Ue a 27 + Paesi Efta) 740.641 nuove vetture (calo del 7,3% sulle 798.924 del 2012) e la sua quota di mercato è scesa al 6% rispetto al 6,4% del 2012. Fiat si consola con l’importantissimo mercato brasiliano, dove quest’anno entrerà in funzione la seconda fabbrica, quella di Pernambuco, che ha una capacità produttiva di 250 mila veicoli l’anno. Il gruppo guidato da Sergio Marchionne dovrà difendere un primato che in Brasile dura da dodici anni; quest’anno ha venduto circa un milione e 800 mila veicoli, il 9% in più dell’anno precedente.
Tuttavia, nella nuova società che prenderà forma dopo la fusione, emerge tutto il peso di Chrysler, in forte ripresa nel mercato Usa e in fortissima ascesa in quello del Sol Levante (+26% nel 2013!). A livello di vendite, l’Italia conta meno del 10% sul totale. La crisi ha colpito molto duro, non solo Fiat ma tutti i costruttori generalisti, a parte Volkswagen. Il Lingotto ha perso quote di mercato finendo dietro Bmw, al settimo posto. I conti continuano a essere in rosso, il piano industriale atteso per il primo di maggio farà chiarezza sulle strategie continentali.
Cosa ne sarà quindi della produzione in Italia? Come riportato da Il Corriere della Sera la scorsa settimana, tutto fa pensare che Sergio Marchionne questa volta faccia sul serio circa il rilancio di Alfa Romeo: l’intenzione del manager italo-canadese trova conferme negli ambienti sindacali. Vero è che, se l’obiettivo dichiarato è la fascia premium del mercato, Alfa Romeo è sicuramente tra i prodotti interessanti in questo senso, insieme a Ferrari e Maserati. Quindi, i “capannoni-fantasma mimetizzati in giro per l’Italia” e le “squadre di uomini che stanno preparando i nuovi modelli Alfa Romeo” – per citare l’ad di Fiat-Chrysler – sembrano qualcosa di più di semplici invenzioni pensate ad hoc per la stampa.
Da una parte quindi il lusso Ferrari, Maserati e Alfa; dall’altra il marchio Fiat alle prese con una trasformazione: prodotti a valore aggiunto derivati da Panda e Cinquecento. Queste le intenzioni di Marchionne, che significano possibili investimenti sui nuovi prodotti e sulle fabbriche (si parla di 9 miliardi). Le antenne di Fiat-Chrysler sul mercato globale sono anche particolarmente attente all’espansione sul mercato cinese – dove il marchio Fiat sconta una storica debolezza – e alla ripartenza delle vendite in Europa, che gli analisti danno per sicura quest’anno.
Lo stabilimento di Cassino, nell’ottica di uno sviluppo della produzione di Alfa, è quello che va totalmente rilanciato: attualmente si producono Lancia Delta, Giulietta e Bravo. Si tratta di 3.860 lavoratori, di cui 3.500 in cassa integrazione che lavorano meno della metà delle loro ore; tra gennaio e febbraio 2014 avranno lavorato non più di 10 giorni. Negli ultimi tre anni il volume della produzione si è dimezzato, passando da 130.000 a 65.000 auto.
L’investimento su Alfa Romeo dovrebbe rilanciare completamente questo sito produttivo. Ma quando si parla di investimenti, Marchionne dice sempre “mercato permettendo”, e non solo lui: anche gli stessi sindacati. C’è da dire che, dato che è in atto la negoziazione del nuovo contratto di gruppo, è chiaro che le parti sociali – per lo meno quelle che hanno firmato l’accordo precedente e che di conseguenza ne stanno discutendo il rinnovo – sono a conoscenza delle intenzioni di Fiat-Chrysler per quel che concerne la produzione 2014-2017 in Italia. Il contratto tuttavia sarà chiuso prima della presentazione del piano industriale.
Marchionne vuole però capire se avrà un sostegno dal governo in relazione agli investimenti che ha previsto, magari sottoforma di politiche per l’export, perché è chiaro che, se ci saranno investimenti, saranno per nuovi prodotti da lanciare sul mercato globale: ecco spiegata la sua prudenza. Dare per scontato che Fiat-Chrysler investirà 9 miliardi in Italia senza alcun tipo di intervento del governo a favore delle sue esportazioni è quantomeno avventato.
Nel 2011, dopo la firma dei contratti di Pomigliano e Mirafiori, gli incentivi per l’auto non sono stati rinnovati. Inutile prendersela con Marchionne perché dei 20 miliardi del piano Fabbrica Italia ne ha investiti solo un terzo, considerando anche la contrazione del mercato dell’auto in Italia e in Europa, sceso ai livelli degli anni ‘70. Tutti devono fare la loro parte, il sindacato ha fatto la sua e la sta facendo. Non dimentichiamo che degli oltre 80.000 lavoratori del gruppo Fiat, quelli iscritti al sindacato sono meno della metà e che la Fiom ne conta 5.500; e non dimentichiamo nemmeno che le condizioni del contratto Fiat derivate dal “modello Pomigliano” sono soddisfacenti anche per l’impresa. E allora di cosa parliamo quando, da quasi quattro anni, il problema di Marchionne sembra essere Landini e la Fiom?
Inutile ripetere invece quanto l’Italia abbia bisogno di politiche per lo sviluppo, non solo di Fiat, ma dell’industria e dell’impresa in generale, soprattutto nell’ottica di attrarre capitali esteri. Vediamo cosa sarà capace di fare Enrico Letta, che al momento fa orecchie da mercante. È ora di cominciare a ribaltare i ruoli: la politica impari ad ascoltare le imprese, il mercato e l’economia. Il mercante non è forse Marchionne?
In collaborazione con www.think-in.it