«Dare ai lavoratori la possibilità di scegliere se anticipare la pensione o prendere un assegno più sostanzioso migliorerà il sistema previdenziale nel suo complesso. Vanno però adottati gli accorgimenti necessari per evitare che ciò si traduca in un aggravio per i bilanci pubblici». È l’osservazione di Tiziano Treu, ex ministro del Lavoro e attualmente membro del Cnel. Il suo successore, Enrico Giovannini, ieri ha fatto sapere che, anche per dare una risposta al problema degli esodati, “stiamo lavorando con il Mef per una proposta alle parti sociali che sia robusta dal punto di vista finanziario e giuridico. L’idea è che contribuiscano tutti e tre i soggetti: i lavoratori, le imprese e lo Stato”.
Che cosa ne pensa della proposta di Giovannini?
È un provvedimento che il ministro aveva ipotizzato da tempo, perché l’urgenza di rendere più flessibile l’uscita dal mercato dal lavoro è sottolineata da tutti. Diversi disegni di legge sono andati in questa direzione e io stesso ne avevo presentato uno a suo tempo, e in seguito lo ha fatto anche l’ex ministro Damiano.
Per quale motivo finora non è stato possibile mettere in atto questa riforma?
Farlo attraverso l’introduzione di una fascia d’età tutta a carico del sistema previdenziale è molto costoso. La modalità proposta da Giovannini può consentire di ridurre il peso. Una parte dei costi sarebbe infatti sostenuta dal singolo, in quanto se si ritira dal lavoro tre o quattro anni prima la sua pensione sarà meno sostanziosa. Una parte sarebbe sostenuta dallo Stato, perché ovviamente deve contribuire, e la terza parte sarebbe messa dalle imprese.
Le aziende accetteranno di pagare una quota per l’anticipo dell’età pensionabile?
Farlo può risultare conveniente, in quanto in questo modo non dovranno attuare il prepensionamento tradizionale che risulterebbe molto costoso. Alcune aziende in passato, come per esempio l’Enel, hanno accettato di sobbarcarsi tutti i costi del prepensionamento, ma il fatto di dover pagare solo un contributo parziale è ovviamente più vantaggioso. L’idea merita quindi di essere approfondita, bisognerà fare bene i conti per evitare di creare buchi nel bilancio pubblico, ma sicuramente va incontro a un’esigenza giusta e ne ripartisce il peso.
Quanto può costare allo Stato l’anticipo dell’età pensionabile?
È prematuro parlare di numeri, si tratta di ripartire i carichi in modo che siano sostenibili per tutti.
La flessibilità in uscita migliorerà il nostro sistema pensionistico?
Sì. La riforma Dini del 1995 era già basata sul concetto della flessibilità. Nel momento in cui si introduce un metodo contributivo, che si basa sui contributi versati e tiene conto dell’aspettativa di vita, è interno alla logica del sistema che ci sia un margine di flessibilità. Entro una certa fascia, il lavoratore può decidere di ritirarsi dal lavoro un po’ prima, e quindi di prendere una pensione un po’ più bassa, o viceversa lavorare più a lungo e prendere di più. Ciò è in linea anche con le esigenze delle persone, che hanno percorsi di vita diversi.
La proposta del ministro Giovannini è compatibile con le norme Ue?
Le norme Ue non entrano nel merito delle pensioni. L’indicazione comunitaria è di rendere la previdenza più sostenibile, ma dopo la riforma Fornero il sistema italiano è diventato il più virtuoso d’Europa. Anche troppo da un certo punto di vista, perché l’innalzamento dell’età pensionabile è avvenuto in modo molto rapido. Con le modifiche proposte dal ministro Giovannini si attuerebbe una sorta di ammorbidimento, o di transizione flessibile, rispetto a cui non c’è nessun profilo di incompatibilità rispetto alle norme Ue. L’importante è limitare i costi dell’intervento.
(Pietro Vernizzi)